Profughi, l’ufficio d’igiene è chiuso, il pronto soccorso li respinge. Il primo stop all’assistenza è la burocrazia

 Profughi675In dieci attraversano il deserto e il mare, arrivano a Milano e manifestano segni di malattia compatibili con le infezioni. Gli operatori che li hanno in carico vorrebbero portarli all’ufficio d’igiene ma è chiuso e li conducono a piedi al primo pronto soccorso che però si rifiuta di farli accedere per visite e cure: “Non è di nostra competenza”. L’indomani, quando l’ufficio d’igiene riapre, sono già spariti. Senza che nessuno abbia accertato le loro condizioni. Se ne parla in questo articolo pubblicato domenica 21 agosto su “Il Fatto Quotidiano”.

 

Hanno attraversato il deserto e il mare. Hanno camminato di giorno e di notte. Dopo altri 20 di traversata il viaggio di dieci profughi lungo 6mila chilometri si ferma al vetro di un Pronto Soccorso. Dove i medici di un ospedale milanese si sono rifiutati di visitarli. Motivo? Le “procedure”: gli accertamenti sanitari vanno fatti al Servizio igiene pubblica, che dopo le 15 – però – è chiuso. Risultato: l’indomani, quando l’ufficio riapre, otto su dieci sono già scomparsi nel nulla senza che nessuno abbia accertato se siano o meno portatori di tbc, scabbia o altre malattie. Così, mentre Como è al collasso per un numero spropositato d’arrivi e Milano non sa più dove metterli, succede anche che ci si scopra impreparati ad evitare un’ipotetica emergenza sanitaria. Lo racconta Diego Moretti, operatore dell’accoglienza che per quattro anni è stato direttore di un centro per richiedenti asilo di Milano, dove ha visto passare oltre 300 migranti. “Ma una cosa così, giuro, non era mai successa. Sarà anche una falla del sistema sanitario, ma per me la condotta dei medici sconfina nell’omissione di soccorso e nella discriminazione”.

I fatti. L’8 agosto un gruppo di profughi provenienti da Somalia, Etiopia e Comore sbarca a Catania. La Croce Rossa al momento dello sbarco, dopo aver fatto controlli di massa, scrive nel foglio di consegna che “non presentano sintomi riconducibili a malattie infettive” ma prescrive di procedere comunque alla “sorveglianza sindromica” presso il centro di accoglienza. Tra quelli indirizzati a Milano dieci vengono affidati dalla Prefettura a una cooperativa sociale afferente ad Ai.Bi, Amici dei Bambini, affinché possa prenderli in consegna e accoglierli nel centro migranti diVizzolo Predabissi, nel milanese, dove già ospitano una ventina di persone tra cui 4 neonati e 3 piccoli bambini. Gli operatori li accolgono, gli danno da mangiare, gli fanno fare la doccia e danno loro abiti nuovi. Ma i profughi non stanno bene: “Avevano occhi arrossati, fastidio oculare, rash cutaneo pruriginoso, diffuso a mani e tronco, calazio, ascesso da infezione sugli arti e così sentiamo il parere del medico del centro che sconsiglia assolutamente di portarli nella struttura per non mettere a rischio gli ospiti e gli operatori ma di portarli al primo Pronto pronto soccorso, dato l’Ufficio d’igiene preposto agli accertamenti necessari era chiuso”, racconta Moretti. L’Ast di Rozzano, chiude infatti alle 15 e i profughi sono stati consegnati ad Aibi alle 14.30. Unico presidio medico di zona è il pronto soccorso, a un paio di chilometri. I profughi, condotti dagli accompagnatori, lo raggiungono a piedi anziché su mezzi pubblici proprio per alimentare in alcun modo il rischio infettivo. Ma una volta arrivati l’ultimo miglio del lungo viaggio si rivela inutile: invece di essere visitati, ai profughi viene sbarrata la porta. Perché?

Lo spiega al fattoquotidiano.it il responsabile del Pronto Soccorso e accettazione dell’ospedale Daniele Camisa: “questo è un servizio dedicato alle urgenze ed emergenze cliniche cioè ai pazienti che presentano sintomi improvvisi, verosimilmente significativi di malattie per cui è necessario trattamento immediato. Non è un servizio dedicato ad interventi di prevenzione, igiene e profilassi, né agli screening di massa su soggetti sani fino a prova contraria”. Cosa spiegata a voce e per iscritto anche agli operatori dell’Aibi. In quella comunicazione si legge: “in data 9/8/2016, intorno alle 19.15 si è presentato al Pronto Soccorso di questo Ospedale un gruppo di circa 10 Richiedenti Asilo, prevalentemente donne e bambini, di provenienza africana, accompagnati da un operatore/educatore di comunità”. Non c’era però alcun bambino, a riprova che proprio nessun medico o infermiere si è premurato di alzare o sguardo oltre quel vetro.