Quali sono i rischi e gli interessi della stepchild adoption?

Buongiorno Ai.Bi.

Sto seguendo con interesse il dibattito sulle unioni civili e sulla legge in materia che a breve sarà discussa in Parlamento. Devo dire che, come molto spesso accade sulle questioni etiche, la comunicazione politica non è sempre molto chiara. Finché si parla di matrimoni tra persone dello stesso sesso e di adozioni consentite anche agli omosessuali mi risulta tutto chiaro e non posso nascondere la mia seria perplessità. Ora però si parla spesso di un altro tema: la cosiddetta stepchild adoption. Non ho capito bene di che cosa si tratti, chi ne beneficerebbe e quindi perché voi di Ai.Bi. siete contrari. Mi potreste spiegare come stanno le cose? Se fosse una giusta mediazione tra i diritti degli adulti e dei bambini non vedo perché si dovrebbe respingere questa possibilità.

Grazie,

Andrea

griffini400x286Caro Andrea,

il disegno di legge Cirinnà si propone di regolamentare le unioni civili, ovvero le convivenze non legate dal vincolo del matrimonio, tra cui anche quelle omosessuali. In questa regolamentazione rientrerebbe anche il diritto alla stepchild adoption. Questa andrebbe a incidere sul titolo IV della legge 184/1983 sulle adozioni che, in casi particolari, già prevede, qualora il giudice lo ritenga opportuno, l’adozione del figlio del proprio coniuge. Ebbene, con la stepchild adoption si  vorrebbe aggiungere alla parola “coniuge” la specificazione “o da parte dell’unione civile tra persone dello stesso sesso”. Insomma, anche se non si chiama “adozione gay”, la possibilità di adottare un bambino per il partner all’interno di una coppia omosessuale si aprirebbe lo stesso.

Nello specifico, se il minore in questione ha più di 14 anni sarebbe chiamato a esprimere il suo consenso. Se invece ha un’età tra i 12 e i 14 anni dovrebbe esprimere un’opinione. Per i minori di 12 anni, la parola passerebbe al giudice che dovrebbe valutare idoneità affettiva, situazione personale, capacità educative del partner omosessuale. Ma quanti giudici, interpellati su casi del genere, si sentirebbero liberi di esprimere serenamente una valutazione negativa, anche qualora lo ritenessero necessario, di fronte al rischio di un’inevitabile accusa di omofobia?

E se nessuno dei due partner avesse già un figlio biologico? Purtroppo il problema si porrebbe lo stesso. Anzi, sarebbe addirittura peggiore, perché il diritto alla stepchild adoption indurrebbe, in tali situazioni, a ricorrere all’utero in affitto. Una pratica illegale in Italia ma consentita in alcuni Paesi esteri anche a “committenti” stranieri – e quindi anche italiani – che finirebbero per sfruttare, a pagamento, il corpo di povere donne disposte a mettere a disposizione il proprio utero per dare alla luce figli altrui.

Ma quante persone sarebbero davvero interessate alla stepchild adoption? Secondo le stime pubblicate dal quotidiano “Avvenire” che si rifà agli studi più accreditati, non più del 3% della popolazione italiana sarebbe omosessuale. Risulta poco credibile, quindi, che i minori che vivono all’interno di coppie omosessuali siano circa 100mila, come affermano alcune associazioni. Su questi minori, in realtà, non esistono statistiche ufficiali, ma è certo che solo una piccola parte di essi avrebbe i requisiti per l’adottabilità, considerando che sarebbe comunque necessario il consenso, tra l’altro revocabile, dell’altro genitore biologico, quello esterno alla coppia.

In sintesi: la stepchild adoption andrebbe incontro alle esigenze solo di poche persone, tutte adulte, ignorando il diritto dei bambini a un papà e una mamma, e aprirebbe la strada a una pratica disumana come l’utero in affitto.

Un caro saluto,

 

Marco Griffini

Presidente di Ai.Bi.