Riaprite il fortino delle adozioni internazionali

adozioni-internazionalisitoAttorno al tavolo della Cai è calata una cortina di silenzio, che riguarda in maniera indistinta tutti gli aspetti. Di questo e della necessità di un confronto tra tutti gli attori coinvolti nel settore dell’adozione internazionale parla questo articolo della giornalista Sara De Carli, che riportiamo integralmente, pubblicato sull’ultimo numero di “Vita”.

 

La Linea Cai – il numero verde per “la comunicazione, l’ascolto e l’informazione” tra le famiglie e la Commissione adozioni internazionali – è in manutenzione dal 14 agosto 2014. Il suo destino è una buona metafora di quel che sta accadendo al sistema italiano, alle prese ormai da qualche anno con una crisi di numeri (come in tutto il mondo), di attenzione politica e di visione: una manutenzione è necessaria, ma non può durare in eterno. L’impressione invece è quella di uno stallo troppo lungo e di un silenzio che sta diventando soffocante: si sta, come le foglie di Ungaretti, in attesa di cose che dovrebbero accadere e non accadono mai.

“Chiediamo che venga ripristinato il livello operativo e qualitativo del sistema Italia del 2011. Dopo quattro anni di disattenzione quel sistema non c’è più, ma se il Governo ha in mente un altro modello lo deve dire, perché enti e famiglie vogliono collaborare, non accetteremo che il futuro passi sopra le nostre teste”, spiega Pietro Ardizzi, portavoce del coordinamento Oltre l’Adozione.

Com’è lontana l’estate 2014, quando girava l’hashtag #CAIcambiaverso e alla plenaria convocata dalla neopresidente Silvia Della Monica, dopo due anni di mancate convocazioni, gli enti autorizzati si erano presentati in una rappresentanza che per la prima volta era riuscita a mettere insieme 45 enti su 62. Un anno dopo il clima è totalmente diverso, perché a dispetto delle promesse non è cambiato nulla. Intanto la Cai non si è mai riunita, se non per insediarsi (giugno 2014): l’ultima riunione operativa risale al novembre 2013. Gli incontri periodici con gli Enti autorizzati non ci sono stati (due sole le plenarie, a luglio e dicembre, quella di febbraio è stata rinviata e mai più convocata) e la stagione dei tavoli tecnici (ad esempio quello sui costi) è sfiorita da un pezzo. La Cai in questo anno e mezzo non ha rilasciato alcuna nuova autorizzazione Paese (cosa che sarebbe strategica, in un momento di crisi come questo) e alcuni enti raccontano di essere ormai in difficoltà anche nell’operatività quotidiana perché la Cai non rilascia l’attestazione dello “stato di esistenza” nel Paese estero o non procede alle verifiche sulla rendicontazione dei progetti di sussidiarietà e di conseguenza non liquida agli enti i fondi anticipati. Di nuovi bandi per progetti di sussidiarietà d’altronde non si vede l’ombra dall’ottobre 2010. E ci sono famiglie ancora in attesa di rimborso per le spese adottive sostenute nel 2011 (ultimo anno per cui esiste uno stanziamento, ma ciò non dipende dalla Commissione).

Nessuno dice che la Cai non lavori. I bambini arrivano, chi ha avuto bisogno di sottoporre alla presidente situazioni particolari ha sempre trovato un interlocutore attento, il sito riferisce di visite da parte di delegazioni estere (Federazione Russa, Mongolia, Cina), sono stati firmati gli accordi bilaterali con Burundi e Cambogia (dove da quasi un anno tuttavia aspettano la presidente “per suggellare l’amicizia e l’impegno assunto”) e una nuova lista di 124 minori è stata sbloccata dalla Bielorussia in tempi rapidissimi. Certo però attorno al tavolo della Cai è calata una cortina di silenzio, che riguarda in maniera indistinta tutti gli aspetti, non solo quelli che comprensibilmente vanno tenuti sotto riserbo.

Alla data in cui andiamo in stampa, il 24 luglio 2015, il report statistico sul 2014 non è ancora stato pubblicato, nemmeno in forma sintetica: è uno strumento importante per le famiglie per orientarsi tanto sul Paese verso cui andare quanto sull’ente a cui conferire l’incarico. Alle nostre (quattro) domande, la presidente Della Monica non ha voluto rispondere. In Parlamento sul tema adozioni sono state depositate 27 tra interpellanze e interrogazioni, con le firme di 202 parlamentari, ma il Governo ha risposto solo a tre. In una di esse, il Governo ha riferito che la Cai ha avviato verifiche su due enti, ma da marzo ad oggi nulla si sa sull’esito e nonostante la grande enfasi sulla necessità di un maggior controllo sugli enti che ha fatto più volte pensare a un sistema opaco e bisognoso di pulizia (vedi l’accordo stipulato tra la Cai e l’Arma dei carabinieri il 20 giugno scorso), nessuna autorizzazione è stata revocata: meglio sarebbe avere certezze, perché le adozioni internazionali hanno bisogno di trasparenza, non di cultura del sospetto.

Non si tratta quindi di mettere a confronto stili gestione e meno che meno stili personali, ma di chiedersi se il modello italiano, un modello di sussidiarietà che comprende a diverso titolo famiglie, enti, servizi territoriali, associazioni familiari e autorità centrale è stato messo o meno in discussione. Nessuno si sbilancia, perché nessuno ha avuto modo di confrontarsi con nessuno su questo. Non ci sono accuse, ma appelli. C’è un profondo bisogno di confronto. Intanto la riforma delle adozioni promessa da Matteo Renzi e Maria Elena Boschi sulla scaletta dell’aereo che a maggio 2014 ha portato a casa 31 bambini adottati a Kinshasa è rimasta lettera morta: nonostante i documenti inviati, nella discussione sulla riforma del Terzo Settore in verità il tema non è mai nemmeno entrato. E – dice con un durissimo paragone Gianfranco Arnoletti, presidente del Cifa – “ristrutturare il bagno di casa agli occhi del nostro Governo ha più valore che adottare un figlio”.