Se la Siria non scalda più i cuori

dt.common.streams.StreamServer200Riportiamo questo articolo di Francesca Paci, pubblicato su www.lastampa.it del 31 marzo 2014.

La foto della piccola Israa al-Masri con gli enormi occhi già spenti prima di morire di fame nel campo profughi palestinese di Yarmouk, a Damasco, ha fatto il giro del pianeta. Anche quella dell’infinita coda per il pane scattata qualche settimana dopo nello stesso campo è stata ripresa da tutti i media internazionali. Ne abbiamo scritto, ne abbiamo parlato. Ma dura poco. Un gran voltastomaco globale e finisce lì. Perché la Siria non scalda i cuori.

Secondo le maggiori organizzazioni umanitarie mondiali nessuna crisi ha sensibilizzato meno l’opinione pubblica della mattanza in corso ad appena tre ore di volo dall’Italia. Gli stati donano poco, come conferma l’Onu che ha appena lanciato il più grande appello della storia chiedendo 6,5 miliardi di dollari (finora solo il 12% dei 2,3 miliardi di dollari promessi in Kuwait dalla Conferenza dei Donatori sono stati versati). Ma i privati, solitamente assai più emotivi e generosi dei loro governanti, donano ancora meno.

«Il 2014 potrebbe essere perfino peggio del 2013 quando, a parte lo tsunami nelle Filippine, non c’è stata “competizione” umanitaria. Adesso invece, ad aggiungersi al fatto che la Siria non commuove, stanno esplodendo altre crisi, in Centrafrica, in Sud Sudan, e siamo solo all’inizio dell’anno» osserva Jonathan Campbell, coordinatore dell’emergenza Siria per il World Food Programme (Wfp) in Giordania, dove il solo campo profughi di Zaatari ospita circa 150 mila persone, distribuisce 22 tonnellate di pane ogni mattina e costa un milione di dollari al giorno. A novembre, per le Filippine, il Wfp raccolse in poco tempo oltre il 90% degli 88 milioni di dollari stimati per l’emergenza cibo anche grazie alle donazioni online dei privati. Per la Siria non si è neppure al 39% dei fondi necessari.

Certo, la Siria ha numeri da brivido. A tre anni dalla rivolta contro Assad iniziata pacificamente e degenerata in una feroce guerra civile siamo a almeno 140 mila morti (7 mila bambini), 3 milioni di rifugiati all’estero (l’80% dei quali dipendenti dagli aiuti) e 9,3 milioni di sfollati all’interno del paese, una catastrofe umanitaria da 40 milioni di dollari alla settimana. Come se non bastasse, da quando l’accordo Usa-Russia sulla distruzione delle armi chimiche di Damasco ha tranquillizzato le coscienze e permesso ai riflettori mediatici di puntare senza remore altrove il massacro si è addirittura intensificato.

Perché la Siria non scalda i cuori? Chi ci lavora fa una sintesi cruda: la Siria appare una giungla in cui non si distinguono i buoni dai cattivi, viene percepita come uno strascico delle ormai abusate primavere arabe e, diversamente dalle catastrofi naturali, induce a pensare che la popolazione se la sia un po’ cercata per cui noi, con tutti i guai che abbiamo, possiamo fare ben poco. Il risultato è sul sito di Agire (Agenzia Italiana per la Risposta alle Emergenze): «Grazie alla generosità degli italiani sono stati raccolti per le Filippine 427.000 euro»; «Grazie alla generosità degli italiani sono stati raccolti per la Siria circa 92.000 euro».

Non c’è tempo. Oxfam (promotrice della campagna #WithSyria firmata dal guru della street art Bansky) denuncia che senza un’adeguata risposta economica i siriani, dentro e fuori al paese, resteranno presto senza cibo, acqua, riparo, medicine, istruzione. La difficoltà di raccogliere fondi ha già imposto una riduzione del 20% nella fornitura di cibo. Save the Children stima che 5 milioni di bambini siano bisognosi di assistenza mentre l’Unicef chiede 222,192,134 di dollari per non interrompere il crescente bisogno di acqua potabile, igienizzazione, scuole e materiale didattico, vaccinazioni (solo a Zaatari nascono almeno 6 bambini al giorno). Se una Siria così non scalda i cuori è forse un problema suo, ma anche dei cuori.

 

Fonte: (lastampa.it)

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