Cile, Julio, 7 anni: «Papà, non ti preoccupare per i soldi. Noi ce la faremo»

Il piccolo Julio (nome di fantasia), di 7 anni, è stato adottato da una coppia a dir poco combattiva. Sono Stefano e Rose, coppia mista (lui italiano, lei italo-argentina). «Mi definisco un genitore fortunato», esordisce Stefano, tornato a casa il 2 febbraio assieme alla moglie e al figlioletto. «Con Julio ci siamo subito riconosciuti famiglia: ci ha chiamati immediatamente mamma e papà. Per quanto riguarda me e mia moglie, fin dalla prima volta che abbiamo stretto in mano la sua foto lo abbiamo sentito figlio. ci siamo detti: ecco, non siamo più una coppia, siamo mamma e papà».

La fortuna di Stefano risiede, secondo le sue parole, anche nel fatto che sono una coppia di madrelingua spagnola. «È un vantaggio – spiega – nel periodo trascorso in Cile non siamo incappati nella spiacevole sensazione di sentirci due turisti adottivi. I locali ci hanno accolto molto bene, abbiamo fatto conoscenza con una famiglia conosciuta nel Paese e siamo ancora in contatto con loro».

Chiediamo a Stefano come si è svolto il loro primo incontro con Julio. «Molto emozionante. Molto intenso. E strano. In sala, mentre aspettavamo, ci siamo visti comparire davanti, correndo, un altro bambino, che non era Julio! Si è poi scoperto che era il suo amichetto, che aveva sentito del nostro arrivo e voleva venire via anche lui con noi».

«Subito dopo è entrato Julio. È stato lui a spiegargli che i due adulti arrivati erano sua mamme e suo papà, e che, quando sarebbe stato adottato anche lui, si sarebbero rivisti. Straziante per noi, perché il bimbo è scoppiato a piangere. Ma questa è la realtà, per quei bambini».

«Con Julio è stato amore a prima vista – continua Stefano –. All’inizio ha legato moltissimo con la mamma, alla quale confidava le cose intime (igiene, vestiario), che poi ha esteso anche a me, arrivando a invertire la situazione. Questo è spiegabile perché Julio è stato tradito proprio dalle figure femminili, dalle quali è stato abbandonato e poi addirittura maltrattato».

Un particolare: Stefano svela che oggi stesso Julio inizia il suo primo giorno di scuola. «È già stato in classe per qualche ora dove ha fatto due amici – dichiara il padre con orgoglio –. Il nostro percorso adottivo non è stato facile, seppure si sia svolto molto brevemente. Abbiamo dovuto anzitutto digerire il fatto che nessun figlio sarebbe mai uscito da te: devi aprirti a qualcuno che viene da fuori, che non avrà il tuo odore, la tua pelle, la tua faccia, e dovrai farlo entrare in te, nella tua vita. È la capacità di capire e accogliere un estraneo. E non è un processo semplice. Nel nostro caso la vista delle sue foto ci ha aiutato molto: e questo è merito del lavoro meticoloso e molto professionale dell’équipe che ci ha seguiti. Per questo dico che bisogna essere molto preparati quando si inizia un’adozione internazionale, e bisogna essere preparati bene.

Certo, tutto inizia quando tu e tua moglie vi guardate negli occhi e vi dite: siamo innamorati, finalmente stiamo bene e abbiamo una casa e un tetto da offrire a un figlio. Ma quando decidete di adottarlo e iniziate il percorso di attesa, tutto cambia. Per un padre la vita diventa una lotta: vai a dormire con mille pensieri, ti domandi se ce la farai o no, ma scopri che alla fine è lui la tua forza. Me ne accorgo oggi: la tua luce diventa lui. La sera viene a darmi il bacetto ed è lui a dirmi: “Papà, non ti preoccupare dei soldi. Noi ce la faremo. Basta che siamo sempre uniti”. Una cosa del genere ti dà una forza incredibile – conclude Stefano, che ha espresso la volontà di comparire in questa intervista con il suo vero nome, affinché la sua testimonianza potesse essere di forza e di aiuto per tutti i genitori adottivi come lui –. Diventa lui la motivazione della tua vita, ed è per lui che vai avanti e ti dici: ce la voglio fare, voglio continuare a fare del bene a un bambino e a provarne la sensazione, a sentirmi appagato dal fatto che lo hai adottato e che lo hai tolto dalle mani di quei disgraziati che lo hanno trattato male fino a quel momento. È stato così, per me. Mio figlio mi ha riempito».