Tremila neonati abbandonati, il libro nero della maternità

downloadRifiutati e consegnati al loro destino, nel bagno di un fast food o nel cassonetto di un ospedale come è accaduto a Roma, dove si sono verificati tre casi tra dicembre 2012 e marzo 2013.

Meno spesso, purtroppo, lasciati nelle culle della vita, le moderne “ruote degli esposti” (una quarantina in tutta Italia tra ospedali, parrocchie e centri di assistenza). Sono circa 3.000, secondo l’ultima indagine della Sin-Società italiana di neonatologia, i neonati abbandonati ogni anno nel nostro Paese (dati aggiornati a luglio 2012). Il 73 per cento è figlio di italiane, il 27 di immigrate, in gran parte tra i 20 e 4o anni, mentre le minorenni rappresentano il 6 per cento. Gli abbandoni in ospedale sono solo 400. Bilancio in linea con i recenti fatti di Roma: dalla ventenne rumena, prostituta, che a fine dicembre ha partorito nella toilette di un McDonald’s gettando il bambino nel water (il piccolo è stato notato dalla cassiera e salvato all’ospedale Sant’Eugenio) alla romana di 25 anni che, dopo aver tenuto il neonato in borsa per oltre venti ore, lo ha buttato in un cassonetto del San Camillo, al quale si era rivolta a causa di una violenta emorragia. L’ultimo episodio, il 20 marzo, in un bar al Circo Massimo: un feto di io centimetri viene trovato da un dipendente nel cestino dei rifiuti in bagno. Dietro i casi “da nera” tante storie simili, segnate da disagio, disperazione, solitudine, con conseguenze a volte irreparabili. Perché dall’angoscia di non poter accudire il figlio indesiderato all’infanticidio il passo è terribilmente breve.

I freddi dati sull’infanticidio ce li consegna il Manuale per operatori criminologici psicopatologi forensi (Giuffrè) di Vincenzo Mastronardi, docente di Psicopatologia forense alla facoltà di Medicina della Sapienza: siamo passati da 226 casi di infanticidio nel 2000 a 171 nel 2008, con un lieve rialzo nel 2011 (197). Insomma, il fenomeno, nel complesso, è stabile: circa lo o,6 per cento degli omicidi sono domestici.

L’incidenza più alta è al Nord (56 per cento), mentre al Sud è intorno al 30. L’età media delle madri è tra i 26 e i 32 anni. Per il 61 per cento si tratta di donne sposate. Seguono conviventi (15), nubili (14) e separate (9). Casalinghe soprattutto: 58 per cento. Contro l’8 di operaie e il 5 di studentesse. I162 per cento appartiene al ceto medio. I133 vive una relazione conflittuale, il 28 la definisce buona, il 71 per cento è affetta da disturbi psichici. E il luogo dove più spesso avviene l’infanticidio è il bagno. «Le cause principali» spiega Mastronardi, «sono la psicosi post partum o l’immaturità di chi ancora non si sente pronta ad affrontare la maternità». La seconda ipotesi è, spesso, all’origine degli abbandoni: «Penso alla giovane straniera che arriva in Italia carica di aspettative» continua il docente, «e preferisce disfarsi del bambino piuttosto che perdere la libertà». Ecco perché è fondamentale informare le donne su tutte le alternative. Il ricorso ancora troppo limitato alla rete di sostegno e alle possibilità offerte dalla legge si spiega, almeno in parte, proprio con la scarsa conoscenza. O con il timore di non poter cambiare idea dopo aver rinunciato.

Ma perché gettare il piccolo nel cassonetto quando ci sono le culle della vita? Una di queste culle riscaldate, dove il piccolo può essere lasciato in segreto e immediatamente accudito da personale specializzato si trova al Policlinico Mangiagalli di Milano. Però in sei anni è stata utilizzata una volta sola (nel 2012). «Le culle» valuta Basilio Tiso, direttore sanitario dell’ospedale «funzionano fino a un certo punto. Bisogna riuscire a intercettare le ragazze nella fase critica, quando scoprono di essere incinte e non sanno come affrontare le difficoltà». Su 6.5oo parti l’anno, solo 8 madri non riconoscono i propri figli. Stabile il numero di neonati abbandonati alla nascita (9 casi, con un picco di 12 nel 2007) che comunque finiscono in ospedale. In calo gli aborti: da più di 2.000 a 1.300 negli ultimi 12 anni. Ma non sono scomparsi quelli clandestini, provocati dall’assunzione di farmaci dopo il secondo trimestre di gravidanza. «In alternativa all’abbandono» sottolinea Tiso, «si ricorre a canali illegali come lo spaccio della pillola abortiva».

In tempi di crisi, il disagio colpisce più le italiane che le straniere. «Donne senza lavoro» ricorda il direttore sanitario della Mangiagalli, «molte senza famiglia alle spalle. Perciò è importante informarle sulla possibilità di affidare il figlio allo Stato, restando anonime». Piermichele Paolillo, direttore dell’unità operativa di Neonatologia al Policlinico Casilino di Roma, ricorda gli episodi di neonati abbandonati, come quello scoperto sotto il pianale di un camion dall’autista mentre stava per accendere il motore. Nel 20o6 l’ospedale installa la baby boxe, dopo un mese, arriva il primo piccolo: «Di origine caucasica» ricorda Paolillo, «ben vestito e in buona salute. Probabile che la madre se ne sia separata per problemi economici».

Da allora non si sono verificati altri casi, però sono diminuiti gli abbandoni in strada e aumentati i parti segreti, circa 15 l’anno: «Optano per questa soluzione le straniere informate sulle tutele di legge, ma anche italiane in condizioni di precarietà» spiega il medico. Merito della campagna pubblicitaria promossa dall’ospedale, situato in una delle zone a più alto tasso d’immigrazione. Il prossimo passo, grazie alla collaborazione tra la Sin e la fondazione Francesca Rava, sarà la proposta di un questionario anonimo alle donne che rinunciano alla maternità, per capire il motivo che le spinge. «Lo scopo» conclude Paolillo, «è di andare oltre la punta dell’iceberg e intercettare il fenomeno sommerso, per intervenire quando si ha bisogno di aiuto e prevenire gli abbandoni in condizioni di rischio».?

( Io Donna, Maria Egizia Fiaschetti, 20 Aprile 2013)