Venezuela. Bambini strappati ai genitori, deportazioni in Colombia e case segnate per essere demolite.

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Altre frontiere, altre espulsioni, altri bambini che soffrono: nella zona di confine tra Venezuela e Colombia quasi 300 minori sono rimasti da soli dopo le deportazioni ordinate da Caracas del padre o della madre, in qualche caso di entrambi, in territorio colombiano. A denunciarlo sono fonti della Colombia, precisando che il governo si sta occupando del caso di 299 bambini.

Scene di quotidiana disperazione si perpetrano lungo il confine tra i due Paesi: bambini separati dai genitori, distruzione di abitazioni, aggressioni fisiche contro chi deve abbandonare il Venezuela.  Dopo che sulla facciata delle loro case è spuntata la lettera “D”, nelle ultime settimane circa 3 mila cittadini colombiani sono stati deportati dall’esercito venezuelano. Molte famiglie sono state divise perché i figli di molti colombiani sono nati in Venezuela e la legge prevede che i minorenni non possano uscire dal Paese senza un’autorizzazione dello Stato. Con il risultato che questi bambini, pur avendo un padre e una madre, vengano forzatamente separati dai loro genitori e mandati negli istituti.

Non è la lettura di una pagina di storia riguardante il nazismo ma ciò che sta accadendo proprio in questi giorni in Sudamerica. La crisi umanitaria scatenata dalla chiusura della frontiera fra Venezuela e Colombia, infatti, e la deportazione di oltre 3 mila colombiani dal Paese vicino, che ha già compromesso i rapporti bilaterali, potrebbe aggravarsi ancora. Nel giustificare la propria politica di “espulsione degli stranieri irregolari”, Caracas sottolinea che il suo obiettivo è di “combattere il narcotraffico e i paramilitari che infestano la frontiera”. Metodi sicuramente discutibili di cui a farne immediatamente le spese sono i più indifesi: i bambini. Le immediate conseguenze è, finora, un esodo di circa 10 mila persone che tentano di superare la frontiera senza essere separati dai loro figli.

Quale del resto crudeltà maggiore?  E così i bambini più sfortunati vanno a finire negli istituti (in poche settimane diverse già oltre 300); quelli più “fortunati” guadano il fiume con mobili, materassi e beni di prima necessità nella speranza di non essere beccati dall’esercito e rimanere con la propria mamma e papà. E così in 5 mila sono quelli arrivati a Cucuta, la città colombiana vicino alla frontiera.

Stiamo facendo tutto il possibile con le autorità venezuelane per giungere alla riunificazione delle famiglie. Non è possibile che ci siano dei bimbi separati dai propri genitori”, ha sottolineato Cristina Plazas, responsabile dell’Istituto colombiano per il benessere delle famiglie.

Anche Papa Francesco ieri durante l’Angelus ha invitato i fedeli di tutto il mondo a pregare “in particolare per le amate nazioni colombiana e venezuelana, affinchè con uno spirito solidarietà e fraternità, si possono superare le attuali difficoltà“.

Ai.Bi, Amici dei Bambini presente ad Aracua (altra città al confine tra Colombia e Venezuela, in partenariato con la Caritas, per progetti di supporto alla scuola, si sta già attrezzando per rispondere all’emergenza.