Vorrei adottare un bimbo ma la burocrazia me lo vieta

Da Il Giornale, 11 agosto 2012

Caro direttore, con mia moglie, prima di affrontare l’odissea dell’adozione, ci chiedevamo come mai gran parte delle coppie che sentono questa spinta d’amore andavano a cercare bambini all’estero e non in Italia. Dopo quattro anni di esperienza sulla nostra pelle siamo arrivati a una prima, parziale e triste risposta. La burocratica e farraginosa gestione delle adozioni nazionali, grazie a leggi e cavilli da azzeccagarbugli, non aiuta le coppie che vogliono accogliere un bimbo abbandonato in casa propria, ma le ostacola.

Nella nostra famiglia è già arrivata da otto anni una bella bambina naturale. Dopo la gioia del primo figlio e la perdita del secondo durante la gravidanza, abbiamo deciso di aprire le porte del cuore all’adozione, senza immaginare che saremmo andati incontro a un’odissea capace di mettere ko le coppie più toste. Nel 2008 abbiamo chiesto di adottare un bambino presentando regolare domanda all’ufficio del Tribunale dei minori di Trieste. La prima valanga di documenti richiesti doveva già farci capire che conta ben più la burocrazia che l’amore. Sposati da quasi dieci anni e conviventi da 20, mia moglie e io, abbiamo dovuto presentare l’assenso dei nostri genitori e dei nonni del futuro figlio adottivo, come se fossimo dei ragazzini. Per un anno, quando sarebbe bastata una settimana, ci hanno messo sotto i raggi X psicologi e assistenti sociali, neanche fossimo serial killer. Le domande sulla nostra vita partivano dall’asilo. Pure Beatrice, figlia naturale, è stata sottoposta a scrutinio, ma abbiamo serenamente accettato convinti che servisse per il bene del futuro bambino adottato.

Per non parlare delle visite legali. L’appuntamento te lo fissano sempre in orario di lavoro, nelle ore più incasinate. Poi arrivi e un medico ti guarda negli occhi, ti chiede se stai bene, non ti fa nemmeno spogliare e firma una carta che sei a posto. La visita è tale, che il giorno dopo potresti morire di infarto.

Il 24 settembre 2009 abbiamo ottenuto l’agognato decreto di idoneità dal tribunale. L’unico documento ufficiale che ti rilasciano e dovrebbe fare testo come punto di partenza. Invece non è così.

Non solo: per l’adozione internazionale ci vogliono anni, ma quella nazionale è praticamente impossibile. Sembra assurdo, ma se da Trieste vuoi entrare nelle liste di genitori adottivi a Catanzaro devi mandare documentazione e richiesta al tribunale locale e così via. Non solo: anche spedendo la domanda in tutta Italia la tempistica varia da 6 a 10 anni. Per l’adozione internazionale abbiamo scelto la Colombia, ma fino a quando è possibile non volevamo mollare la strada nazionale per concedere uno spiraglio di speranza anche a un figlio della nostra terra. Giusto per complicare la vita alle coppie adottive ogni tre anni bisogna rinnovare la domanda con i soliti documenti. Per il certificato penale e i carichi pendenti, che non vengono chiesti con tale solerte assiduità neppure ai mafiosi, il tribunale è automatizzato. Nel senso che puoi scaricare i moduli da internet, ma poi devi compilarli e consegnarli a mano, sempre nei peggiori orari di lavoro. Se sgarri di un minuto devi pregare in ginocchio che accettino la pratica. Finalmente, ieri, dopo le solite e inutili visite legali, sono riuscito a presentarmi in tribunale per rinnovare la domanda di adozione nazionale e rimanere in lista d’attesa. Una solerte operatrice giudiziaria sfoglia i documenti senza trovare nulla di anomalo. Poi digita due tasti su un computer e un po’ stizzita dichiara: «La vostra richiesta di adozione nazionale è decaduta. Non l’avete rinnovata nei tre anni previsti». Pensando a uno scherzo di cattivo gusto sventolo il decreto di idoneità, l’unico documento del tribunale in nostro possesso, dove è stampato a chiare lettere 24 settembre 2009. Se la matematica non è un’opinione e ci aggiungiamo tre anni siamo ancora in tempo.

L’occhio vigile dell’operatrice sembra infuocarsi e con puntigliosità burocratica mi mette in mano il fac simile della domanda, che avevamo presentato nel 2008. Al punto 5 dell’ultima riga c’è scritto: «Di essere a conoscenza che la domanda decade se non è firmata entro il triennio dalla data di presentazione». Da notare che questo foglio l’avevamo compilato e consegnato al tribunale, che non ci ha rilasciato alcuna copia. Quattro anni dopo avremmo dovuto ricordare che la data di riferimento era quella della domanda e non del decreto, come sarebbe logico. Avvisarci, manco a parlarne. Possiamo ripresentare la domanda ex novo, ricominciando l’odissea dall’ultimo posto in lista d’attesa. Una vergogna. Perché tante assurde complicazioni e tanto tempo, perché così pochi bimbi italiani dati in adozione? Una domanda di fronte alla quale si insinua una possibile, probabile, risposta che fa male: i bambini italiani senza genitori sono ospitati da strutture dietro lauto compenso. Forse non si vuole rovinare un così bel giro d’affari.