“Bisognerebbe fare causa a questi giudici e a questi tribunali”

Franco scrive:
In tutta questa tristissima vicenda, come in tutte le vicende che coinvolgono minori per i quali si deve esprimere il Tribunale dei minori, emerge ancora una volta la lentezza del sistema giudiziario italiano, lentezza che nei confronti dei bambini genera sempre -sempre!- danni irreparabili.
Lo schema è spesso questo: si crea un problema su un minore (situazione familiare critica, ragazza madre troppo giovane, genitori inadatti perché anziani, ecc.), il bambino va in affido, magari senza contatti con la famiglia di origine, ci resta degli anni (e per un bambino sono anni con un orizzonte infinito, impensabile per un bambino di 3-6 anni immaginare di spostarsi dalla famiglia che l’ha curato fino a quel momento in un altro luogo, fosse anche la casa dei genitori naturali..) e poi arriva, lenta, lenta, la sentenza del Tribunale, che incide come un bisturi nella carne del bambino, di solito guardando ai problemi degli adulti, e spesso considerando il bambino quasi come “terapeutico” per sanare i problemi delle famiglie naturali.
Bisognerebbe fare causa a questi giudici e a questi tribunali. Se queste sentenze hanno motivo di essere emesse, ciò deve accadere entro qualche mese. Passati degli anni, è come sparare al
bambino, togliergli il diritto alla felicità. Ne ho visti di casi così, troppi. Ho visto bambini in affido in case di accoglienza dalla nascita fino a quasi dieci anni, perché la mamma, ragazza madre, era a sua volta in un’altra casa di accoglienza… e si aspettava una sentenza… Ho visto bambini tolti alla nascita a famiglie di extracomunitari, allevati fino alle elementari da famiglie italiane, senza vedere MAI la famiglia di origine, e poi essere reinseriti di colpo nella famiglia naturale, della quale non capivano la lingua, le tradizioni, i modi di vivere, e non rivedere mai più la famiglia affidataria, dove un altro uomo e un’altra donna avevano nel loro cuore preso il posto di mamma e papà. Il problema sono i giudici, i tribunali, la loro lentezza.


Carissimo Franco,

grazie per le sue parole perché tocca un argomento difficile e grave che passa troppo spesso sotto silenzio e per il quale servono soluzioni urgenti: la durata infinita dell’affidamento familiare!

Si tratta di un istituto che dovrebbe essere temporaneo poiché la sua funzione è quella di verificare se il minore, una volta ricomposto l’equilibrio della famiglia d’origine, può ritornare a vivere con essa. Questo periodo di affidamento diventa sterile e dannoso se si protrae a lungo come ormai avviene nella maggioranza dei casi. Perché l’affidamento sia proficuo e celere è necessario che ci sia un effettivo progetto di riavvicinamento alla famiglia d’origine sul quale lavorare tutti insieme: servizi sociali, genitori affidatari e famiglia d’origine. Se il progetto manca già dall’inizio è un cattivo segnale che lascia trasparire una debolezza iniziale della misura stabilita, visto che quando il reinserimento nella famiglia d’origine è irrealizzabile a monte si dovrebbe piuttosto avviare una procedura di adottabilità anziché “parcheggiare” i bambini nel limbo dell’affidamento. E’ vero anche che sia i provvedimenti di affidamento che le sentenze di adottabilità sono decisioni del tribunale. Tuttavia, su quanto da lei proposto per reagire alla lentezza delle procedure mi sento di dovere aggiungere che non sempre la “colpa” delle lungaggini procedurali è dei tribunali. Questi infatti per poter prendere le proprie decisioni hanno bisogno di relazioni chiare e coraggiose da parte dei servizi sociali e di chi gestisce le strutture in cui sono “ospitati” i minori. Anche per l’adottabilità il tribunale per i minorenni non può decidere nulla se il procuratore della repubblica presso il tribunale non avvia la specifica procedura. E per avviarla, in ogni caso, anche il procuratore deve avere a disposizione relazioni e segnalazioni che non lascino spazio a dubbi. Per questo è importante sensibilizzare tutti i pubblici ufficiali (inclusi gli insegnanti di scuola) e tutti gli operatori sociali sulla necessità di riferire per iscritto ogni notizia sulla situazione di disagio familiare dei bambini allontanati dalla famiglia e sui reali sforzi che la famiglia d’origine fa per riavvicinarsi al minore. Bisogna avere il coraggio di riferire ogni fatto specifico di cui si sia a conoscenza, che sarà utile a valutare se la famiglia d’origine sia idonea o meno. Proprio su quegli elementi è possibile decidere se il minore possa rientrare o meno nella propria famiglia oppure se debba essere dichiarata l’adottabilità. Tutti i fatti di cui si sia a conoscenza vanno comunicati, senza alcuna omissione volontaria, perché in assenza elementi di prova dell’abbandono è più facile che il minore rischi di rimanere a lungo in situazioni di incertezza. Certamente la valutazione dei presupposti dell’abbandono è un lavoro difficile, come è difficile prendere la decisione di recidere i legami con la famiglia d’origine, ma deve essere chiaro che né i servizi sociali né gli operatori devono compiere questa valutazione: loro devono solo riferire, rispettivamente, pareri tecnici e fatti, mentre la valutazione spetta solo ai giudici e al PM. Personalmente credo che in molti casi bisognerebbe affrontare e riportare con coraggio la realtà, con l’unica consapevolezza che la situazione di incertezza è per il minore dannosa tanto quanto l’abbandono.

Avvocato Enrica Dato

Ufficio Diritti dei Minori – Ai.Bi. Associazione Amici dei Bambini