25 dicembre 2012: Gesù Bambino rinasce a Kinshasa

Un caldo e azzurro giorno d’estate, insieme alla psicologa, mi sto preparando per l’abbinamento di una giovane coppia con un bimbo congolese. Fin qui tutto sembra “normale” amministrazione.
In realtà niente è usuale in questo abbinamento, stampo la scheda, guardo e riguardo la fotografia…e avvicino la mano al fianco.
È un movimento istintivo, ma mi riporta la’ in quel Centro a Kinshasa.
Varco il cancello e mi si attaccano addosso non i bambini desiderosi di essere presi in braccio, ma una decina di occhi diffidenti, impauriti…mi giro intorno e lo sguardo mi cade su una finestrella con la grata, mi avvicino e presumo sia una stanza da letto dei bambini…c’è buio, tanto buio, intravedo degli occhi…non so quanti siano, ma pur essendo le tre del pomeriggio, sembrano un cielo tristemente stellato.
Mi arresto nel cortile del Centro e i bimbi iniziano ad avvicinarsi e a prendere confidenza con me, a tratti abbandonano lo sguardo adulto indagatore e riconquistano, a suon di facce buffe, la loro per nulla scontata fanciullezza.
La mia attenzione viene rapita da un bimbetto un po’ in disparte con una salopette gialla a fantasia scozzese, mi fissa, mi sta studiando, ma non osa avvicinarsi; chiedo immediatamente informazioni su di lui e mi dicono che il bimbo non parla, non sanno il motivo, fatto sta che a 4/5 anni non parla…e aggiungono: “Però produce suoni, ripete alcune parole”. Lo chiamano, arriva e mi sfiora la mano e quali parole gli fanno pronunciare: mamma e papà.
È tenero, ha uno sguardo sornione…tantissimo bisogno di coccole, sembra fare le fusa e continua ad incastrare la tastina tra il mio braccio e il fianco.
Torno a casa, in Italia, con la speranza che le uniche due parole ripetute a comando da questo bimbo possano essere indirizzate ad una mamma e un papà veri e non sprecate così nella solitudine dell’aria di quel centro di Kinshasa.

La coppia ci raggiunge in sede, non sanno ancora chi sarà il bambino che per anni hanno atteso, sognato, desiderato.
L’abbinamento è un susseguirsi di emozioni contrastanti; esco dopo un’ora e mezza e sono sfinita; ho la sensazione di aver trascorso tutto quel tempo ininterrottamente sulle montagne russe.
La coppia accetta l’abbinamento, accoglie il piccolo senza sapere il motivo del suo non parlare…hanno paura, li comprendo appieno…ma si affidano a noi e soprattutto a lui.
Trascorrono i mesi durante i quali il nostro eccellente staff psicosociale si prende cura del bimbo, purtroppo con risultati non apprezzabili dal punto di vista del linguaggio: il bimbo continua a non parlare.

È il momento tanto atteso, una partenza improvvisa, sei giorni per preparare tutto e via diretti a  Kinshasa.
Da qui, mio malgrado, i miei occhi si sostituiscono con quelli del nostro volontario espatriato nella Repubblica Democratica del Congo.

Il bimbo avanza incerto, la mamma e il papà agitatissimi, seduti uno accanto all’altro, tendono le braccia, come rami intrecciati, il piccolo li raggiunge, si accoccola tra di loro….e succede qualcosa: il bambino che non parlava inizia a ridere e a chiacchierare, è incontenibile.
Dalla sua bocca scoppiano parole e sbocciano sorrisi.
È felice.

L’adozione è sempre qualcosa che va oltre alla comprensione umana, ma in questo caso abbiamo assistito ad un vero e proprio miracolo.

Davanti a questa immagine, con la voce del piccolo nelle orecchie e nel cuore, non posso far altro che gridare di gioia la forza dell’amore di una famiglia.

Rimetto con grande orgoglio la mano sul fianco, là dove si era stretta a me la sua testina.
E sono felice.

Valentina Griffini