Adozioni: il Mito e la Realtà

Scrive Michele:

Ho letto il Manifesto e non lo condivido perché innanzitutto l’analisi del calo delle adozioni è stranamente incompleta, in quanto non si fa menzione del rapporto che c’è tra coppie con il decreto d’idoneità e coppie che hanno finito il percorso adottando un bambino: l’analisi già fatta anche a livello centrale ministeriale evidenzia infatti che nemmeno il 50% delle coppie che hanno ottenuto il Decreto dal Tribunale dei Minori, riescono a concludere proficuamente l’adozione.

Quindi il problema non sta a monte a livello di TDM, ma c’è evidentemente un problema dopo l’idoneità, a livello di enti autorizzati. Anche l’aumento dei costi, il loro mancato aggiornamento, benché legislativamente previsto, l’allungamento della procedura burocratica, la richiesta di documentazione alle coppie che non ha senso, il contenzioso in netto aumento tra gli EA e le coppie, fanno vedere che il problema, la strozzatura, il tappo alle adozioni, è causato dal comportamento di alcuni EA che va a discapito dell’intera categoria.

A livello ministeriale inoltre si sono accorti che l’età media dei bambini che entrano in Italia è più alta rispetto ad altri paesi che adottano e quindi sfuggono anche qui le cause. Non voglio dire che devono entrare solo poppanti, chiedo un’equa ed etica ripartizione con gli altri paesi, in quanto è ragionevole pensare che all’aumento dell’età corrisponde un aumento dei possibili problemi ed è giusto che non sia un solo paese, solo le nostre coppie a farsene carico. Si è inoltre evidenziato che dove esistono strutture pubbliche regionali autorizzate all’adozione i costi sono minori. Quindi a mio avviso la riforma della legge sulle adozioni dovrebbe tener conto di questi dati, incentivando la nascita in ogni regione di enti pubblici autorizzati, la partecipazione dei Tribunali dei Minorenni al controllo dell’attività degli enti autorizzati privati e pubblici e una politica estera più decisa nei paesi da dove provengono i bambini, atta a garantire i diritti dei bambini e un giusto e ragionevole apporto documentale burocratico che non sia solo fine a se stesso.

Caro Michele,

rispondiamo ai suoi commenti e affrontiamo le questioni nevralgiche dell’iter adottivo.

È dimostrato che gli enti pubblici siano “esempi da non seguire”, a detta dello stesso settore pubblico (si veda il caso Campania in relazione all’esperienza ARAI Piemonte). Sono anzi un vero spreco di denaro pubblico. A fronte di un costo unitario che risulta superare in media i 40mila euro (sempre il caso ARAI), gli enti privati riescono a far sostenere la spesa adottiva nella media di 25mila euro. Semmai, la strada da seguire è la collaborazione tra settore pubblico ed enti di natura privata, come succede in Veneto e Sardegna. Siamo concordi sul fatto che gli enti vadano ampiamente controllati: ma è stabilito dalle Convenzioni internazionali che sia l’autorità centrale – in Italia è la CAI – a dover attivare questi controlli. Cosa che, ahinoi, non si fa più come un tempo. L’ONU ha già rimproverato l’Italia su questo aspetto, l’anno scorso. E poi sarebbe necessario che gli enti si dotassero di qualifica di ente morale: anche questa, purtroppo, è cosa che pochi enti si abbassano a fare.

Quando si parla di adozioni bisogna avere il coraggio di sfatare alcuni “miti” in circolazione. Ad esempio, il mito che dice che più enti ci sono, meglio è: nella realtà riscontriamo che non è così, anzi, gli enti autorizzati italiani sono una giungla (più di 60). Ridurli a un numero di 20/25 permetterebbe di realizzare controlli frequenti e di innalzare il numero di adozioni internazionali per singolo ente, aumentando la soglia di stallo delle 4mila adozioni annue già minacciata da una decrescita dei decreti di idoneità (-49% negli ultimi cinque anni).

Poi, i miti che sostengono che la presenza del Tribunale dei Minori nell’iter sia buona e necessaria in quanto il magistrato è garante di una superiore giustizia, da perseguire nell’interesse del minore; la realtà, purtroppo, è ben altra: è verificato che i magistrati diano valutazioni diverse di Tribunale in Tribunale, e che siano capaci di ribaltare le relazioni dei servizi sociali, anche le più aderenti ai fatti e alla vita concreta di una coppia. In questi casi chi compensa le coppie di tanta disponibilità e di tanto lavoro sprecato?

In realtà, se una certa percentuale di coppie idonee non affronta l’adozione, è perché il problema è proprio in un iter fatto di costi e soprattutto di passaggi superflui. Non illudiamoci: non c’è alcuna parità di trattamento in Italia per le coppie che vogliono adottare. Alcune se la cavano con un paio di colloqui, e veleggiano felici verso l’adozione: altre, dotate di caratteristiche identiche, passano anni a ripetere le valutazioni, e ingiustamente.

Non attacchiamoci al mito perciò, e non facciamo accanimento terapeutico sul ruolo di terzietà del giudice. È un ruolo superfluo, svolto in base a criteri astrattamente giuridici, e non psicologici. Il compito dei giudici italiani è ben altro. L’adozione internazionale è un atto di giustizia, non di quella giustizia che parte dai pezzi di carta e dal terrore dei fallimenti adottivi: semmai, di una giustizia che comincia dal cuore di una coppia che si apre all’amore.

Marco Griffini, Presidente di Ai.Bi. Amici dei Bambini