Affido familiare. Perché il minore alcune volte si rifiuta di incontrare la famiglia di origine?

Quando il rapporto con la famiglia naturale è fonte di disagio, il bambino in affido innalza barriere protettive per difendersi dalla sofferenza emotiva. Ecco alcuni meccanismi psicologici che vengono messi in atto dal minore

L’affido è una misura di protezione per i minori che si trovano in situazioni di disagio o pericolo nel nucleo familiare naturale.
Difficoltà economiche, problemi di salute fisica o psichica, dipendenze, comportamenti violenti o inadeguati, sono alcune delle premesse che possono avere come conseguenza l’accoglienza temporanea del bambino all’interno di una nuova famiglia.
Il minore collocato in affido mantiene comunque un legame con la famiglia d’origine, più o meno intenso e frequente, a seconda del progetto previsto dai servizi per lo specifico caso.
In questo quadro, il bambino in affido si trova spesso in un difficile equilibrio tra la famiglia d’origine e la nuova famiglia affidataria. Da un lato, la famiglia d’origine, anche quando disfunzionale, rappresenta comunque il terreno in cui affondano le proprie radici e la base del proprio modo di rapportarsi al mondo e agli altri. Dall’altro lato, la famiglia affidataria rappresenta un ambiente protettivo, una nuova opportunità di misurarsi con relazioni significative e nuove possibilità di crescita.

Il rapporto con la famiglia d’origine è spesso fonte di conflitti interni

Per il bambino o l’adolescente in affido, i rapporti con la famiglia d’origine sono frequentemente caratterizzati dall’ambivalenza e possono rappresentare una fonte di disagio emotivo: abusi, trascuratezza e conflitti possono infatti avere lasciato un’impronta negativa profonda. D’altro canto, il legame con il nucleo originario dà vita talvolta a un vero e proprio conflitto di lealtà in cui il minore sente come tradimento l’adesione affettiva alla nuova famiglia.
A causa di questa ambivalenza può determinarsi nel bambino o nel ragazzo una difficoltà a gestire le emozioni legate all’appartenenza alle due famiglie. Il minore può, per esempio, provare sentimenti di colpa per aver lasciato la famiglia naturale, anche se la decisione è stata presa per motivi di sicurezza e benessere. Viceversa, potrebbe mettere in atto atteggiamenti di rifiuto verso la famiglia d’origine, sentendo che i genitori non hanno fatto abbastanza per proteggerlo o per garantirgli un ambiente familiare sicuro.
A causa delle esperienze di abbandono o instabilità nella famiglia di origine, il minore potrebbe poi provare timori e sentimenti di sfiducia nei confronti della nuova famiglia affidataria, temendo che anche questa relazione finisca in un abbandono o in una separazione.

I meccanismi di difesa del bambino

Di fronte a questa complessità emotiva, i bambini in affido sviluppano spesso meccanismi di difesa e protezione per far fronte a conflitti e disagi. Questi meccanismi, seppur inconsapevoli, aiutano il minore a preservare il proprio equilibrio emotivo e a mantenere una certa stabilità psicologica.
Uno dei dispositivi di difesa più comuni in questi casi è la negazione: questo espediente psicologico consente di evitare o minimizzare i sentimenti di dolore, di rabbia o di abbandono che potrebbero emergere nel rapporto con la famiglia di origine. Negare la presenza di tali emozioni può offrire un senso di protezione e preservare l’immagine positiva che il minore ha della propria famiglia naturale e di se stesso.
Un altro meccanismo che può entrare in gioco è quello della proiezione: in questo caso il minore attribuisce alla famiglia d’origine le emozioni negative che vive dentro di sé. Questo gli permette di distanziarsi emotivamente dalla famiglia naturale, attribuendo a quest’ultima la responsabilità delle difficoltà o dei conflitti presenti nella relazione. La proiezione può fornire un senso di controllo e di protezione, poiché il minore percepisce che le sue emozioni negative sono esterne a sé e non sono causate da un suo fallimento.
Un ulteriore sistema di difesa è la razionalizzazione, che consiste nel trovare spiegazioni plausibili o giustificazioni logiche per le situazioni complesse o conflittuali che si vivono nel rapporto con la famiglia naturale. Il minore può cercare di ridurre l’ansia o il senso di colpa attribuendo tali situazioni a fattori esterni o a circostanze inevitabili, in modo da proteggere la propria stabilità emotiva.

L’evitamento della sofferenza. Il caso di una bambina che rifiutava di incontrare la madre naturale

Per rendere più chiaro quanto illustrato sopra proponiamo il caso di una minore di 14 anni affidata a una famiglia da alcuni anni la cui madre biologica ha chiesto a più riprese di poterla incontrare. La ragazzina ha espresso la volontà di non volerla vedere ed è stata rispettato il suo desiderio.
Anche quando periodicamente il servizio la interpella su questa richiesta della mamma, lei mantiene la sua posizione. Ma quando ne parla lei in famiglia o a scuola afferma che è la mamma a non volerla più vedere e non ammette di essere invece lei a rifiutarsi.
Emerge qui un esempio concreto dei meccanismi illustrati in precedenza. In particolare, la salda volontà della minore di non voler incontrare la madre biologica può far pensare che sia intervenuto un meccanismo di negazione. Questo meccanismo può consentirle di evitare i sentimenti negativi che potrebbero emergere in caso di un incontro con la madre.
La ragazzina attribuisce poi la responsabilità della situazione alla madre biologica, affermando che è la madre stessa a non volerla più vedere. Questo aspetto può suggerire che si sia in presenza di un meccanismo di proiezione: il minore proietta le sue emozioni negative o la responsabilità delle difficoltà su qualcosa di esterno, in questo caso la madre biologica, in modo da distanziarsi emotivamente e preservare una percezione positiva di sé.
È interessante infine notare che la ragazzina non ammette di essere lei stessa a non volere vedere la madre biologica quando ne parla con la sua famiglia affidataria o a scuola. Questo potrebbe indicare l’uso del meccanismo di razionalizzazione: il soggetto cerca di ridurre l’ansia o il senso di colpa attribuendo la situazione a fattori esterni, come il supposto disinteresse o il rifiuto della madre biologica.

Alessandra Mascellani, psicologa di Ai.Bi.

Informazioni e richieste sull’affido familiare

Chiunque volesse approfondire la conoscenza dell’affido familiare e riflettere sulla propria disponibilità a intraprendere questo percorso, può partecipare agli incontri organizzati da Ai.Bi. Tutte le informazioni si trovano alla pagina dedicata del sito dell’Associazione!