Al giorno d’oggi sappiamo ancora ascoltare chi ci sta accanto? 

Nella XXVI domenica del tempo ordinario, la riflessione di Don Chiodi prende spunto dalla Prima Lettura Dal libro del profeta Amos Am 6,1a.4-7, Seconda Lettura Dalla prima lettera di san Paolo apostolo a Timòteo 1 Tm 6,11-16 e dal Vangelo Dal Vangelo secondo Luca Lc 16,19-31.

 

Oggi la Parola di Dio ci propone una bellissima parabola, ricca di saggezza cristiana.

Come sapete, ogni parabola mette in scena un simbolo o un racconto, nel quale si trasmette e si vuol condurre – proprio come nella parabola della geometria – ad una ‘punta’, che è il nucleo e il senso della parabola stessa.

A volte è facile individuare questa ‘punta’, come per esempio nella parabola del tesoro nascosto; a volte invece – come oggi – non è così facile, perché la parabola è talmente ricca che noi siamo tentati di trasformarla in un raccontino edificante, dove ci lasciamo ‘catturare’ dai singoli elementi del racconto. Così, questi rischiano di farci perdere la ‘punta’ della parabola o, ancor peggio, questa viene trasformata in un racconto più o meno moraleggiante, perdendo la sua potenza ed efficacia.

Così, ad esempio, in questa parabola, noi potremmo essere attirati dalla figura del povero Lazzaro. Un uomo coperto di piaghe, che non aveva nulla da mangiare e che stava ai piedi della mensa di un uomo ricco – che nella parabola di Gesù non ha nome! – ed era «bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco». Perfino «i cani … venivano a leccare le sue piaghe».

Il ricco, al contrario, non si curava di lui.

Nell’ al di là, dopo morto, Lazzaro si trova in una situazione ribaltata, rovesciata. È «accanto» ad Abramo, nella beatitudine di chi gode della promessa di Dio!

La tentazione, quando ascoltiamo questa parabola, è di trasformarla in un messaggio consolatorio o meglio pseudo-consolatorio, del tipo: in questa terra abbiamo molta sofferenza, ma nell’ al di là Dio ci darà tutto quello che non abbiamo avuto di qua. Così, tanto più soffriamo qui, tanto più saremo consolati di là. Il Vangelo, così, si trasforma in un messaggio di ‘riscatto’ rimandato ad un domani, che starà in cielo, lontano dalla terra.

Per tanto tempo, poi, abbiamo anche detto: “accettate le vostre sofferenze, la vostra povertà, le vostre privazioni qui, perché poi di là il Signore vi ricompenserà”. Come se il dolore fosse (quasi) un prezzo da pagare, per poter ottenere la ’ricompensa’ dell’al di là.

Quante volte abbiamo detto a chi soffriva: “non preoccuparti delle tue sofferenze perché un giorno il Signore ti premierà”. Come se il Signore castigasse di qui, per premiare di là!

Abbiamo così trasformato il Signore in un Dio a due facce, che qui ‘castiga’ per poi premiare. Il dolore, la povertà diventano così dei ‘mezzi’ attraverso cui conquistare il premio della gioia eterna.

Ecco, leggere così questa parabola significa tradirla.

Questa parabola ha, al contrario, una potenza e una ricchezza che ci apre gli occhi proprio sull’ al di qua!

Al centro della parabola non c’è la ‘compassione’ per il povero Lazzaro, ma c’è lo stupefacente egoismo dell’uomo ricco, un uomo di cui non si fa il nome, quasi a suggerirci di identificarci in lui. È l’uomo ricco, con la sua vita, la ‘punta’ della parabola, che ci deve far pensare e meditare.

Non a caso, nella prima lettura, il profeta Amos pronuncia parole durissime nei confronti degli «spensierati di Sion». E li descrive, con sferzante ironia: sono «distesi su letti d’avorio», bellissimi, circondati dalle loro ricchezze. Sono comodamente «sdraiati sui loro divani». Si cibano di cose gustose, prelibate: «mangiano gli agnelli del gregge e i vitelli cresciuti nella stalla». Hanno la bocca piena di ogni ben di Dio … ma Dio l’hanno dimenticato. «Bevono il vino in larghe coppe», gustano bevande prelibate, di alta classe e con grande abbondanza. «Si ungono con gli unguenti più raffinati», circondati dai profumi più buoni che ci siano in commercio… Questo loro provocante stile di vita si accompagna a musiche (e danze): «canterellano al suono dell’arpa, come Davide improvvisano su strumenti musicali».

Riempiono tutti i loro sensi delle delizie di questo mondo.

Sono forse colpevoli di qualcosa? Come se Dio fosse invidioso della gioia di questa gente? No, certo! Ma – questa è la ragione della loro «rovina» «della rovina di Giuseppe non si preoccupano».

C’è la povertà intorno a loro, ma i loro occhi, le loro bocche, i loro sensi sono ben lontani. Si sono riempiti la bocca di ogni bene, ma hanno dimenticato la ‘fame’ della Parola di Dio.

Perciò, annuncia il profeta, quando andranno in esilio, loro saranno «in testa». È tremendo: «cesserà l’orgia dei dissoluti».

Ebbene la parabola di Gesù è proprio su questa linea.

Al centro di questa parabola c’è la figura di quest’uomo che indossa «vestiti di porpora e di lino finissimo» e che «ogni giorno» – con sfacciataggine! – si dà «a lauti banchetti».

Così pieno di sé, così pieno delle cose che sembrano saziare i suoi desideri, quest’uomo diventa cieco e sordo. È cieco, perché non vede nemmeno il povero Lazzaro che è ai piedi della sua tavola colma di ogni bene ed è sordo alla parola di «Mosè e i Profeti». Come si dice alla fine della parabola, quando questo ‘povero ricco’ supplica Abramo di mandare qualcuno – Lazzaro! – ad ammonire severamente i suoi fratelli, che vivono come lui viveva, per far loro aprire gli occhi, «Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro», risponde Abramo.

Quest’uomo ricco, e i suoi fratelli, non sono solo ciechi davanti al povero Lazzaro, ma sono anche – e soprattutto! – sordi dinanzi a una Parola che era per loro …

Anzi, con sapiente ironia, Abramo risponde che: «Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti». Qui Gesù mette in bocca al grande patriarca Abramo una parola che riguarda proprio Lui: la sua Pasqua è la Parola più eloquente. È l’amore di un Dio che dà la vita per noi.

Ma anche a questo dono possiamo diventare sordi!

Ecco, che cosa succederà a questo «uomo ricco» dopo la morte?

Succederà che gli si apriranno gli occhi e potrà – stavolta con immenso dolore: è la sete provocata dalla fiamma che brucia! – vedere con chiarezza dolorosa quello che prima non vedeva. Capirà con immensa sofferenza – una sofferenza senza fine! – quello che prima non ascoltava.

L’al di là rivela quella che sta nell’al di qua. Già qui, contro ogni apparenza, quest’uomo ricco viveva nella solitudine di chi pensa solo a sé e si illude, riempiendosi la bocca di ogni bene, di essere felice.

La solitudine radicale è il prezzo della sua apparente felicità.

La sordità nei confronti della Parola di Dio è la radice di ogni male.

Ecco, questa Parola è, per ciascuno di noi, poveri o ricchi che siamo, un ammonimento potente: ascoltiamo la Parola, che ci apre alla verità profonda dei nostri desideri?

Ascoltiamo chi ci sta accanto, per rispondere con l’amore alla sua povertà?