Azzerati i vertici dell’associazione che gestiva il Cie di Lampedusa

cieBaracche disastrate, materassi ammassati, bagni con rubinetti che dal primo piano sputano acqua calda e allagano le camerate del pianoterra, serrande sfasciate. Questo è ciò che hanno trovato nel Centro di Identificazione ed Espulsione di Lampedusa i 3 dirigenti arrivati dopo l’azzeramento dei vertici di “Lampedusa accoglienza” e la nomina di un esterno come amministratore unico, il professor Roberto Di Maria. Sono rimasti tutti increduli nel constatare che nel Cie è tutto come 3 mesi fa, quando, all’indomani della tragedia del 3 ottobre con 366 migranti annegati, arrivarono sull’isola le più alte autorità nazionali ed europee.

Le incrostazioni di ruggine sui lavandini e i bagni, le docce rotte, le piattaforme incrostate, i gradini grigliati delle scale stratificati di sporcizia: tutti elementi che hanno contribuito a fare scattare la denuncia dei 3 funzionari, della responsabile di LegacoopSociali in Sicilia Angela Maria Peruca, del direttore regionale Pietro Piro e del vicepresidente regionale Filippo Parrino.  Tutti da venerdì mattina a colloquio con i 17 migranti ancora ospiti del Centro, dopo lo svuotamento imposto dal Viminale, con la vice direttrice rimasta alla guida della struttura, Paola Silvino, medici e operatori inquadrati in quel video.

Sconvolgente ciò che è emerso dal sopralluogo in infermeria. Una saletta di 4 metri per 4, 2 barelle con assi arrugginiti, senza neppure un lavandino. “Numerose le richieste in questi anni per avere almeno un container attrezzato con 3 posti di isolamento – ricordano i 3 funzionari –, ma anche servizi, materassi, attrezzature che avrebbero dovuto fornire e riparare il ministero dell’Interno”.Si tratta di vecchie richieste avanzate invano da “Lampedusa accoglienza”, la società ormai liquidata dal Viminale con una risoluzione del contratto non ancora notificata, perché la lettera spedita da Roma il 19 dicembre è arrivata a destinazione solo il 3 gennaio.

Nel frattempo fanno sentire la loro voce i vertici di LegacoopSociali. “Abbiamo capito che il vero scandalo non è quel video – dice Pietro Piro –, ma il silenzio che da mesi è calato sulle condizioni di vita di chi è stato accolto. E questo doveva essere chiaro ai potenti, alle autorità, a quanti hanno avuto libero accesso in una sorta di prigione dove nessuno poteva entrare senza autorizzazione”. “La grave responsabilità dei nostri uomini che hanno diretto il Centro – aggiunge Parrino – è di non avere alzato la voce denunciando per primi la vergogna e l’indecenza in cui operavano”. Il riferimento è al “contrasto fra quanto visto e l’idea di solidarietà, di fratellanza che ispira la filosofia delle nostre cooperative”.

Infuriata anche Angela Maria Peruca: “Dopo quel video era necessario fare un’operazione verità. Abbiamo trovato giustificazioni e discolpe su quel trattamento. Perché il disastro dei locali, quel giorno affollati da 500 migranti, costringeva a praticare le docce all’aperto, ma c’erano 18 gradi, un sole forte, una parete di vecchi materassi come precaria privacy e nessuno pensava che qualcuno filmasse dall’alto la scena, dalle finestre di un locale chiuso proprio perché nessuno sbirciasse”. “La familiarità fra alcuni operatori e i migranti – continua la Peruca – può essere stata male interpretata come arroganza. Non esiste invece alcuna giustificazione per lo sconcio di materassi e servizi peggio di un lager,. È questo che dovevano vedere anche polizia e carabinieri presenti nel Centro, l’ufficiale sanitario e il sindaco, ministri e autorità che si presentavano per fittizie solidarietà mediatiche…”.

Ora la “palla” passa al professor Di Maria che insieme ai 3 dirigenti decideranno cosa fare e cosa chiedere al ministro Alfano.

 

Fonte: Corriere della Sera