Che sarà mai questo bambino? Che cosa farà mai il Signore di lui?

In occasione della solennità di san Giovanni Battista, le riflessioni del teologo don Maurizio Chiodi prendono spunto dalle letture della Prima Lettura Dal libro del profeta Isaìa Is 49,1-6, della Seconda Lettura Dagli Atti degli Apostoli At 13, 22-26 e Vangelo Dal Vangelo secondo Luca Lc 1,57-66.80

Oggi la liturgia sospende la celebrazione delle domeniche del tempo ordinario per festeggiare la ‘natività’ di San Giovanni Battista. Insieme a Maria, è l’unico santo di cui ricordiamo non solo il giorno della morte, ma anche quello della nascita.

Questo ci dice la grande importanza che, nella storia della salvezza, ha Giovanni Battista: è la sua grande importanza nella storia di Gesù.

Una eco di questo l’abbiamo nella seconda lettura, dagli Atti degli Apostoli. Nella predicazione di Paolo, come in quella di tutti gli Apostoli, la figura di Giovanni Battista aveva sempre un rilievo particolare: «Giovanni aveva preparato la sua venuta predicando un battesimo di conversione a tutto il popolo d’Israele».

Giovanni prepara la venuta di Colui che ci sorprende. Prepara cioè chi non può essere preparato, perché Gesù ci coglie sempre alla sprovvista e va al di là di ogni immaginazione!

Per comprendere la figura speciale di questo profeta, che è il più importante fra tutti i profeti, perché sta sulla soglia del Nuovo Testamento, la prima lettura propone una parte del secondo canto del servo di Jahvé, applicandolo e riferendolo a Giovanni Battista.

È il profeta stesso che parla: «il Signore dal seno materno mi ha chiamato». Questa parola, lo sappiamo, si è realizzata letteralmente nella vita di Giovanni Battista, quando, ancora nel grembo materno, egli ‘sussultò di gioia’ alla voce del saluto di Maria, che portava in grembo il piccolo Gesù!

Giovanni ha ascoltato e riconosciuto, da subito, la voce della madre che annunciava la venuta del Figlio.

Le parole di Isaia ricordano come, all’origine della vita del profeta, c’è una chiamata di Dio, una sua scelta, una sua grazia, un suo appello, un suo dono.

E questo è vero non solo per Giovanni Battista, ma anche per tutti noi, per tutti i cristiani, perché ciascuno di noi, nel Battesimo, è parte di un popolo profetico.

Tutti, con Gesù, grazie a Lui, tutti i credenti sono profeti, chiamati a parlare in nome di Dio, di cui hanno ricevuto lo Spirito.

Tutto questo accade per grazia e dunque non per merito, perché non ce ne possiamo vantare!

La seconda parte del testo di Isaia racconta della ‘risposta’ del profeta: «Invano ho faticato, per nulla e invano ho consumato le mie forze».

Sono parole, molto belle, che dicono non l’inutilità, ma l’indegnità del profeta.

Così è per ciascuno di noi: nessuno di noi è ‘inutile’ dinanzi a Dio! ‘Utile/inutile’ è una cosa che non esiste agli occhi di Dio ed è una parola che dovremmo abolire anche nei rapporti tra noi: l’altro non è mai riducibile ad uno ‘strumento’, un utensile, appunto, una cosa!

Dinanzi a Dio, però, non dobbiamo mai dimenticare la nostra indegnità.

Questo, aggiungo, non ci deve far cadere affatto in sbagliati ‘sensi di colpa’: l’indegnità dinanzi a Dio è il riflesso della coscienza della sua grazia e della sempre sorprendente fedeltà.

Il terzo passaggio della prima lettura, dice la missione, l’invio a cui viene destinato il profeta: «Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra».

Certo, queste parole – dette dal servo di Jahvé – si sono compiute in Gesù. Però, esse valgono anche, in un altro senso, di Giovanni Battista e dunque poi anche di ciascuno di noi.

Eletto, scelto, consacrato, ‘messo a parte’ di un grande dono, il profeta non trattiene per sé quello che ha ricevuto. Il dono di Dio chiede di essere diffuso, riversato su altri, ri-donato, perché sia un dono vivo.

Tutto questo si è realizzato in modo davvero singolare per Giovanni Battista. Lo abbiamo ascoltato nel bel Vangelo di Luca.

Il racconto si apre con la nota della ‘grazia compiuta’: «per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio».

È bella e tutta speciale questa espressione, che è consueta per dire la ‘nascita’ di un figlio: «diede alla luce».

Ogni nascita è la fine di un tempo di buio, per uscire alla luce. Noi siamo chiamati a vivere di luce, non di tenebra e di ombra della morte!

E il Vangelo aggiunge che «i vicini e i parenti … si rallegravano con» Elisabetta.

La luce è un altro nome della gioia.

La luce porta la gioia e la gioia dà luce. Ma questa gioia non nasce da sola.

È, invece, la risposta alla ‘misericordia’ di Dio: «udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia».

Nella gravidanza di questa donna che era sterile, i vicini e i parenti riconoscono la misericordia, la grazia sorprendente, il dono meraviglioso di Dio.

Questo è un bell’insegnamento anche per noi.

Il cristiano, come profeta, dovrebbe essere proprio portatore di gioia. Non perché egli non ha dolori, prove, fatiche, difficoltà, ma perché Gesù è la misericordia, è la grazia di Dio fatta carne.

E questo ci autorizza a non perdere mai la gioia: che cosa possiamo desiderare di più della grazia e dell’amore sovrabbondante del Signore Gesù?

Il Vangelo di Luca, poi, dà grande rilievo alla scelta del nome.

Decidere il ‘nome’ di un figlio è sempre una scelta importante per il papà e per la mamma. Sono loro a decidere come dovrà essere chiamato il loro bambino, sempre …

Per gli ebrei, poi, ancor più che per noi, il nome doveva/voleva esprimere l’identità di quel figlio.

Giovanni, tutti volevano chiamarlo con il nome del padre, Zaccaria. Ma la madre si oppone: «No, si chiamerà Giovanni».

Ebbene il termine italiano ‘Giovanni’ viene da una parola ebraica che significa: ‘Dio ebbe grazia, o ‘ebbe misericordia’ o ‘fu misericordioso’. Vedete, il ‘nome’ di Giovanni è un annuncio della misericordia e della grazia del Signore.

A rafforzare questo ‘destino‘ si aggiunge, nel racconto di Luca, la conferma autorevole del padre, Zaccaria. Lui, che era stato ‘incredulo’ all’annuncio dell’angelo, ora scrive su una «tavoletta …: Giovanni è il suo nome». E poi, davanti alla meraviglia di tutti, la sua lingua si scioglie.

Quest’uomo diventa di nuovo capace di parlare, ma lo fa «benedicendo Dio».

È il primo ‘miracolo’ del Nuovo Testamento: i muti parlano, perché diventano capaci di benedire Dio.

Questo è un invito per tutti noi, a diventare capaci di riconoscere la grazia, le meraviglie, i doni di Dio nella nostra vita.

Per questo lo ringraziamo, lo benediciamo, lo lodiamo, con gioia!

Infine, un ultimo tratto tipico di questo brano, è un senso di attesa, meravigliata e profonda. «Che sarà mai questo bambino?», si dicevano l’un l’altro.

Certo, questa è una domanda che nasce spontanea ogni volta che un bimbo viene al mondo. In particolare, però, per Giovanni Battista: i prodigi che accompagnano la sua nascita spingono tutti a meditare e a chiedersi, con un’attesa stupita e grata: “che cosa mai farà di lui il Signore?”.

Ecco, di Giovanni il Signore fece il suo precursore, il suo annunciatore, il suo testimone.

Questo, però, è quanto è chiesto a ciascuno di noi.

Ogni profeta è testimone. E ogni cristiano è profeta.

Siamo chiamati a essere testimoni-profeti della misericordia e della grazia che, per primi, abbiamo ricevuto

Da qui la nostra gratitudine.

Da qui la nostra gioia!

don Maurizio