“I nostri bambini non meritano la galera”

Cristian è nato in carcere. Sua madre, Maria, ha 30 anni e si è costituita mentre era incinta, poi è stata condannata a nove anni. Il bambino è rimasto con lei, perché l’ordinamento penitenziario del ’75 prevede che le madri possano tenere i figli con sé fino a tre anni. Maria giocava con Cristian come Roberto Benigni con suo figlio in La vita è bella, fingeva che il carcere fosse un luogo di lavoro come un altro (Maria è cuoca), e Cristian abitasse lì per tenere compagnia alla sua mamma. Ma crescendo non le ha creduto più, anzi ci teneva ad avvertirla, a dirle come stavano veramente le cose. Di notte scendeva dal suo lettino, si avvicinava e le sussurrava all’orecchio: «Questa è una prigione».

Il sabato usciva con i volontari, vedeva il mondo. Fuori dal carcere di Rebibbia femminile c’erano grandi parchi e le strade di Roma, più oltre le spiagge, il mare. Cristian chiedeva a sua madre: «Sei mai stata fuori di qui?». Le chiedeva: «Raccontami di prima, dimmi di come sono nato». Adesso Cristian ha compiuto tre anni ed è stato scarcerato, suo padre lo ha portato a Lecce, dalla nonna. «Negli ultimi tempi» dice Maria «gli spiegavo che dovevamo separarci, sembrava accettarlo. Ma se suo padre voleva portarlo a fare un giro lui rifiutava di andare. E aveva. tanta paura del suo compleanno». Adesso, quando torna a trovare sua madre, Cristian si arrampica sulle sue ginocchia e la prega di riprenderlo: «Lasciami stare dentro con te, prometto che sarò buono». Maria mi racconta questa storia con gli occhi asciutti. Dice: «Ho sbagliato. Devo pagare e pago. Chi non lo capisce non sopporta la galera e dopo non riesce a reinserirsi». I bambini che vivono in carcere in Italia sono circa 70.

Poi ci sono centomila minorenni che hanno un genitore in galera. L’ORDINAMENTO penitenziario del’75 è stato modificato nel 2011 dalla legge 62, che estende fino a sei anni l’età dei piccoli incarcerati con le madri, a patto che stiano in istituti a custodia attenuata. Mane esiste solo uno, a Milano (Io donna l’ha raccontato nel numero 11 del 2010). «A Roma speriamo di farcela entro il 2014» dice Gabriella Pedote, vicedirettrice del carcere femminile di Rebibbia. Perché non si è fatto finora? Non ci sono i fondi.

E siccome «la pena comunque deve essere eseguita», a Rebibbia vivono attualmente dodici bambini. Quattro grandi stanze che possono accogliere fino a quattro madri, una ludoteca per i colloqui con i papà, posti riservati ai bambini detenuti negli asili-nido della zona. Ma i piccoli in carcere non dovrebbero starci neppure un secondo, ha ammesso di recente anche la ministra di Grazia e Giustizia Paola Severino. «Chi nasce e cresce in detenzione soffre gravi deprivazioni sensoriali» dice Paola Lamartina, dell’associazione Ain Karin, che gestisce una casa-famiglia nella stessa circoscrizione di Rebibbia. «Abbiamo accolto oltre cinquanta bambini detenuti al compimento del terzo anno, altri hanno vissuto qui con le loro madri agli arresti domiciliari.

Certo, devono verificarsi le giuste condizioni. Non deve esserci pericolo di fuga, né di reiterazione del reato. Ma diventare madre cambia profondamente la maggior parte delle donne . In tanti anni , me ne è scappata solo una, e mi ha lasciato qui il bambino». Mantenere una mamma e figlio in una casa-famiglia costa 2.ooo euro al mese, molto meno della retta di un istituto a custodia attenuata per non parlare dei costi del carcere. Ain Karin non ha alcun finanziamento, si regge puramente sul lavoro volontario, e collabora da sempre con l’associazione A Roma Insieme, oggi presieduta da Gioia Passarelli ma fondata dall’onorevole Leda Colombini, che dal 1991 fa interventi di gran valore per le detenute di Rebibbia.

L’obiettivo principale di A Roma Insieme è sempre stato portare madri e bambini fuori dal carcere , e intanto provare a farli vivere un po’ meglio. Così, con il contributo economico decisivo di Axa Mps, nel 2009 a Rebibbia è stato inaugurato un giardinetto, si sono tenuti laboratori di musicoterapia e arte terapia , di consumo sostenibile e riciclo per mamme e bambini. Molto recentemente è stato ristrutturato anche uno spazio ricreativo e di gioco . Ma Alisa, 26 anni, cinque figli, è disperata. L’hanno presa per un borseggio in metropolitana, quando aspettava Rodolfo, che è nato in carcere prematuro . «Inutile fingere che non sia prigione» dice «perché quando viene l’ora di serrare le celle gli agenti gridano “chiusura!”, e i bambini poi giocano a gridare “chiusura!”. Allora magari ridi, ma dentro sei piena di lacrime». Ho rubato, ho fatto degli errori, dice.

Ma non ho lavoro e ho i figli da mantenere: «E se anche volessi cambiare vita, chi assume una zingara e una ladra?». E’ meglio tenere qui i bambini piuttosto che doverli lasciare, però «poi a tre anni te li riprendono, e rimani senza niente. Se non hai una famiglia danno i bambini agli assistenti sociali». LE MADRI dovrebbero stare agli arresti domiciliari: mi prega di scriverlo , mi prega, di rivolgere un appello delle madri di Rebibbia alla ministra Severino. Cinzia ha mandato via la sua bambina di due anni e mezzo da questo reparto , perché non ci voleva più stare: «La mandavo fuori spesso, con suo padre e i suoi fratelli , ma quando tornava era molto aggressiva. E poi era delicata , soffriva d’asma. Ora viene a trovarmi tutte le settimane ». Cinzia sostiene che non è possibile essere davvero madri in una galera: «Rebibbia non è un posto dove puoi gestirti i tuoi figli come vuoi , crescerli secondo i tuoi criteri . I tempi, i modi, le compatibilità sono decisi altrove. E spesso anche le esperienze significative , l’esplorazione del mondo, avvengono con altri». Questi altri possono essere i volontari di A Roma Insieme o di Axa Mps, che il sabato vanno a prendere i bambini detenuti e li portano in giro . I piccoli aspettano queste giornate con gioia : «Ma poi arrivano le angosce, come quella di non tornare più qui, o quella di non uscire ancora. Sì, noi madri abbiamo sbagliato, ma i bambini che cosa ne possono sapere?

(Io Donna)