Il battesimo della Casa Famiglia “Esperanza” ha il pianto di uno scricciolo di 2 chili

bambino-prematuro-in-incubatrice 200Bionda, vestita di verde e bianco, con la sua tracolla blu, è apparsa nel corridoio della sede  nazionale di Mezzano con un sorriso che malcelava l’emozione. Al suo fianco Valentina e Maria, due dipendenti di Ai.Bi. che si occupano  di affido. Tutte e tre le donne avevano le mani occupate,  da una culletta, un passeggino e poi il corredino. Dietro di loro, un altro collega, Marco, nascosto dietro uno scatolone.  Si portavano dietro quella contagiosa trepidazione che faceva  intuire pure al più distratto dei passanti che qualcosa di importante stava accadendo.

Elena, che con i colori ama le mille sfumature della vita, insieme a suo marito Maurizio hanno inaugurato questo mese la Casa Famiglia “Esperanza”, in un piccolo paese della Lombardia. E lo stesso giorno in cui la struttura è diventata operativa, è arrivata a casa la piccola Z. Uno scricciolo di 2 chili e 300 grammi, nata a sole 24 settimane pesava appena 700 grammi, ed stata subito abbandonata dalla mamma biologica. La bimba ha già dimostrato di avere una gran voglia di vivere, superando una grave emorragia celebrale. Purtroppo i medici non sanno quanto difficile sarà per lei la vita. Intanto Z. è riuscita, con le cure del personale medico di un ospedale della Lombardia, a tirarsi fuori dal pericolo. E ha trovato in Elena e Maurizio, lei infermiera lui medico, i due angeli che si occuperanno di lei a tempo pieno, in attesa che il Tribunale dei Minorenni la dichiari adottabile.

Ma questo è molto al di là da venire. Per ora nella Casa Esperanza c’è spazio solo per  la gioia. Confida Elena: «Le ho comprato una tutina color panna, con davanti un orsacchiotto con due grandi orecchie marroni. Volevo che avesse qualcosa di suo, al di là dei vestititi che generosamente molte mamme nell’ospedale le hanno donato».  Non più una ragazzina, Elena prende fiato e racconta la telefonata che cambierà radicalmente i suoi giorni: «Maria mi spiegava al telefono tutte le possibili patologie della bimba, ma io nemmeno la stavo a sentire. Alla fine ho detto: -Sì. Poi ho informato mio marito. Non c’è stato bisogno di consultarci, perché non si può scegliere. Il motto della nostra casa è ‘Tutto per Amore’, perché noi davvero crediamo che in ogni bambino abbandonato ci sia il volto di Cristo». E aggiunge, con voce pacata: «Sta a noi adulti dare la possibilità a questi bimbi di cambiare direzione e di vivere l’esperienza dell’amore, dell’ affetto, e del calore di una famiglia».

Il primo incontro con Z. è avvenuto in ospedale. Tanto piccola e magra da sembrare brutta agli occhi di un estraneo, ma non a  quelli di Elena che l’ha presa in braccio con tutto l’amore di cui una mamma è capace: «Quando me l’hanno messa in braccio temevo di romperla, poi ci ha pensato lei a farmi capire che cosa dovevo fare: si è aggrappata con la manina alla mia maglietta e non l’ha mollata per tutto il tempo. Allora mi sono seduta e mi sono goduta quel suo abbraccio». E continua: «Quando l’ho rimessa nell’incubatrice, Z. ha pianto, sorprendendo tutti nella stanza. L’infermiera sorridendo ha esclamato: – finalmente sentiamo la sua voce!».

Già la sente sua. Elena è pronta ad accoglierla, amarla come figlia, ma anche a lasciarla andare quando sarà il tempo. «Il distacco non mi spaventa. E’ doloroso– confida lei, che ha alle spalle 8 affidi già conclusi- ma si supera soffrendo». E a chi l’ascolta perplessa, spiega: «I bimbi che sono stati parte della nostra famiglia, si sono portati con sé un pezzetto di noi, ma tutto il loro cuore lo hanno dato a noi. Da ognuno ho imparato qualcosa. E il bagaglio degli anni passati, so che sarà utile per vincere anche questa nuova sfida».