La strada è ancora lunga: in Bolivia si può andare a lavorare a 10 anni

boliviabambino200Mentre in tutto il mondo si combatte il lavoro minorile attuando varie politiche di protezione sociale, rinnovando patti e protocolli internazionali ottenendo così un calo significativo di bambini lavoratori (secondo il rapporto dell’Organizzazione internazionale del lavoro “Marking progress against child labour” dal 2000 si registra un calo significativo, passando da 246 milioni a 168 milioni) in Bolivia si va controtendenza. Volutamente controtendenza permettendo, addirittura, nero su bianco a tutti i bambini di iniziare a lavorare all’età di 12 anni o 10 anni (se lavorano in proprio). In chiara violazione del limite di 14 anni fissato dall’ONU.

La Camera dei Deputati della Bolivia ha approvato, infatti, a maggioranza assoluta il disegno di legge 321 “Codice della ragazza, bambini e adolescenti (la promulgazione è prevista per mercoledì prossimo) con cui non sarà un tabù per i bambini boliviani lavorare fin dalla più tenera infanzia. Il testo stabilisce, infatti, l’età minima lavorativa a 14 anni e, in via eccezionale, i difensori dei bambini e adolescenti possono permettere il lavoro autonomo ad adolescenti fin dai 10 anni e attività di lavoro salariata a ragazzi di 12 anni, a condizione che non si scontrano con il diritto all’istruzione. Così se nel mondo occidentale, il solo pensiero di un bambino che lavora farebbe inorridire chiunque perché il suo posto naturale è la scuola e la sua occupazione i compiti a casa, in Bolivia tutto ciò non ha alcun peso e si ragiona secondo altri canoni. E poco importa se secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), avere un mestiere rappresenta la negazione stessa del diritto ad essere bambini.

Ma in Bolivia, come in altri Paesi latino-americani, il lavoro infantile non è  un tabù per la società. Secondo uno studio prodotto nel 2013 dalla Defensoría del Pueblo boliviana, nello Stato sudamericano esistono 850.000 bambini e adolescenti che, tra i 7 e i 15 anni, svolgono un’occupazione, senza suscitare grande sdegno nella società. E’ un fatto culturale in quanto tale difeso e sostenuto dai boliviani stessi compreso il presidente Evo Morales perché  il lavoro infantile è un fondamentale mezzo di sostentamento per i bambini e  le loro famiglie. Questa, almeno, è la posizione che da anni le associazioni a difesa dei diritti sul lavoro per i minori di 14 anni portano avanti con fermezza convincendo così infine il Governo ad abbassare con una modifica legislativa l’età legale per l’occupazione minorile.

Organizzazioni come la UNATSBO, l’Unione dei bambini, bambine e adolescenti lavoratori boliviani, un vero e proprio sindacato inserito in una rete regionale insieme ai suoi corrispettivi presenti in altri Paesi latino-americani, si sono dichiarate estremamente soddisfatte del risultato raggiunto. Soprattutto dopo che lo scorso dicembre una manifestazione aveva visto il lancio di lacrimogeni da parte della Polizia in tenuta antisommossa, è arrivato il cambio di rotta di Morales, che di fronte alle proteste dei piccoli rappresentanti di categoria, ha deciso di incontrarli per una colazione al Palacio Quemado. Devono aver avuto argomenti convincenti, che hanno poi inaugurato un periodo di confronto culminato nella modifica alla legge che regola il lavoro infantile. Del resto, lo stesso Presidente, da bambino, si dedicava alla pastorizia. Il dilemma del lavoro infantile difficilmente poteva risolversi con un divieto. Girando per le strade delle principali città, la presenza di bambini anche di cinque anni dediti a qualche attività è un elemento costante in Bolivia. Svolgono ogni genere di mansione, dalla vendita di caramelle agli incroci, alla lucidatura delle scarpe. Perfino la manutenzione dei cimiteri, dove cambiano i fiori e puliscono le lapidi, sperando che chi fa visita ai propri morti abbia qualche centesimo da dare.

 

Fonte: La Stampa