bambini. Dagli occhi dei piccoli abbandonati in Marocco si legge la sofferenza senza una mamma e un papà

Marocco. Dentro gli istituti: la rabbia negli occhi dei bambini non adottati

Nel racconto di Daniela, coordinatrice Ai.Bi. Maroc, i sentimenti di rabbia, sofferenza e inadeguatezza che è possibile cogliere anche soltanto nello sguardo dei piccoli abbandonati che non hanno trovato entro i 5 anni – come previsto dalle normative del Paese arabo – una famiglia disponibile ad accoglierli

Se i bambini abbandonati marocchini hanno poche chance di riuscire nella vita, solo in quanto vittime dell’abbandono, figuriamoci cosa ne sarà di tutti i minori in contatto con la legge?!?!?”, scrive Daniela

bambini. Dagli occhi dei piccoli abbandonati in Marocco si legge la sofferenza senza una mamma e un papàUn racconto che parla dei sentimenti più profondi dei bambini, quelli che nessuno di loro ha voglia di rendere pubblici, ma che inevitabilmente emergono, direttamente attraverso gli occhi e lo sguardo, di chi ha sperato per anni di incontrare la mamma e il papà in grado di cambiare la propria vita, ma che si è scontrato con la dura realtà e ormai dispera di poter trovare un futuro migliore, limitandosi a tirare avanti tra le quattro anguste mura di un istituto, insieme ad altri minori giunti lì per i più disparati motivi: è il racconto che fa Daniela Ciliberti, Coordinatrice di Ai.Bi. Maroc, nel descrivere l’accoglienza ricevuta andando in visita per la prima volta in un centro di tutela per ragazzine minorenni di Casablanca, in Marocco. Ricordando i tanti volti tristi incrociati in dieci anni di operatività per Amici dei Bambini nel Paese nordafricano. Una riflessione che interpella necessariamente tutti coloro che hanno a cuore il destino di questi bambini e che non può non richiedere a tutte le autorità e agli enti che possono in qualche modo cambiare le cose di fare ancora di più per consentire che sempre più minori come quelli descritti dal racconto possano trovare davanti a loro al più presto l’abbraccio di una famiglia.

Ecco il suo resoconto.

Ad ottobre prossimo saranno già dieci anni che lavoro per Ai.Bi. in Marocco. Dieci anni che entro ed esco dagli orfanotrofi del Paese, che incrocio bambini di tutte le età, che vedo maschietti e femminucce partire con famiglie adottive. Dieci anni che incrocio lo sguardo triste dei bambini abbandonati…sì, perché i bambini abbandonati hanno un velo di tristezza che parte dal cuore e si esterna negli occhi, che non si può capire sufficientemente se non lo si vede direttamente. In più qui in Marocco, a partire dall’età di 5 anni (se non ti hanno adottato prima), non ti resta altro che rassegnarti al tuo tristissimo destino: quello di trovare difficilmente la tua famiglia d’origine o una famiglia sostitutiva. E così i bambini crescono quasi per inerzia, subendo tutte le conseguenze della lunga istituzionalizzazione, subendo soprattutto le conseguenze dei poteri decisionali che poco si interessano alla loro causa e che con le loro scelte non fanno che emarginarli ulteriormente, in quanto “figli del peccato”, un peccato che non hanno nemmeno commesso e di cui saranno vittime per sempre!!!

Da un paio di mesi a questa parte, per la prima volta qui in Marocco, Ai.Bi. ha avviato un nuovo progetto finanziato dalla UE, stavolta sui minori in contatto con la legge. Quindi, oltre ad entrare negli orfanotrofi, da poco tempo a questa parte entro anche nei centri di tutela per questo genere di minori; centri che accolgono non soltanto minori che hanno problemi con la legge, ma anche minori vittime, testimoni, abbandonati! Tutti insieme, nello stesso centro!!!

In realtà, a pensarci bene, già in Perù, nel lontano 2007, avevo effettuato il servizio civile all’estero lavorando in un “albergue”, ossia un centro di “protezione d’urgenza” dove venivano rinchiusi bambini ritrovati per strada a mendicare, oppure che avevano sottratto il portafoglio ad un turista, o minorenni che erano state sfruttate in giri di prostituzione, ma anche bambini persi per strada, violentati, maltrattati e abbandonati. La differenza con i bambini che avevo accompagnato per sette mesi di fila in Perù è che là dentro ci restavano per poco tempo (tre mesi al massimo), guardati a vista dalla Polizia, e il Giudice cercava per loro una soluzione il più in fretta possibile, specie per i bambini vittime di abusi o abbandonati, mentre agli altri dava una seconda possibilità, superata la quale se il minore ricadeva nello stesso errore, allora ad attenderlo c’era solo il riformatorio!!!

Ed è forse per questo che non ho mai avvertito rabbia o sgomento nei loro occhi. Tutto il contrario di quello che ho provato andando in visita per la prima volta presso il centro di tutela per ragazzine minorenni di Casablanca. Si tratta di un centro completamente chiuso, nel senso che le ragazzine vi passano 24 ore su 24, 7 giorni su 7, vivendo in un immobile di cinque piani e avendo la libertà di passare solo da un piano all’altro, senza poter mettere neppure il naso fuori sul terreno di sport, tranne che se accompagnate da un insegnante (e gli insegnanti di sport non ci sono tutti i giorni). Tutto avviene all’interno del centro: i corsi di alfabetizzazione, i corsi di formazione professionale e le attività ludiche. Il giorno in cui sono andata in visita con le colleghe dell’ONG partner di progetto era un giorno di vacanze scolastiche, quindi alcune ragazze stavano passando il loro tempo nell’aula di arti plastiche, facendo dei disegni. Altre in un’altra aula, guardando la loro soap opera preferita. Al nostro arrivo, le ragazze venivano invitate ad alzarsi e a dedicarci un canto di benvenuto, come fossero dei soldatini. È lì che ho incrociato lo sguardo di alcune di loro e quello di una in particolare credo che non lo dimenticherò tanto facilmente: era intriso di collera, rabbia, disprezzo…era una bellissima ragazza di circa 16-17 anni, alta, bionda, con degli occhioni verdi e un viso scavato dalla sofferenza. Era l’unica che rimaneva in piedi senza cantare come le altre, ci osservava e nella mia mente mi immaginavo ci stesse maledicendo, date le occhiate che ci lanciava! E come biasimarla???Come non comprendere – a prescindere dalle ragioni che l’avranno portata lì dentro – la frustrazione che lei e le sue compagne possono provare, stando rinchiuse in quelle quattro mura, senza possibilità di uscita, salvo a pena completata??? E se i bambini abbandonati marocchini hanno poche chance di riuscire nella vita, solo in quanto vittime dell’abbandono, figuriamoci cosa ne sarà di tutti i minori in contatto con la legge?!?!?