Milano. Emergenza immigrazione. Attraversano il deserto e il mare, timore di scabbia e tubercolosi ma l’ospedale si rifiuta di visitarli: “Non è di nostra competenza”. Ma allora chi deve curare i profughi?

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Mentre Como è al collasso per un numero spropositato di arrivi e Milano si prepara ad una vera e propria invasione di migranti, succede anche che ci si scopra impreparati ad evitare un’emergenza sanitaria con la diffusione di epidemie e malattie infettive, come scabbia e tubercolosi. Quello che inevitabilmente può accadere con flussi così ‘importanti’ di migranti.

Capita, infatti, che in un ospedale dell’hinterland milanese, i medici del Pronto Soccorso si rifiutino di visitare una decina di profughi “reduci” da un viaggio di 20 giorni in mare dopo aver affrontato il ‘classico’ viaggio della speranza attraversando il deserto e camminando notte e giorno dalla Somalia, Etiopia e Comore.

Ecco cosa è successo. I 10 profughi sbarcano l’8 agosto a Catania. Hanno occhi rossi e varie bolle sugli arti: si grattano e lamentano bruciori. 

La prefettura di Milano contatta AiBC, la cooperativa sociale afferente ad Ai.Bi, Amici dei Bambini affinché possa prenderli in consegna e accoglierli nel centro migranti di Vizzolo Predabissi (nel milanese) dove già ci sono una ventina di persone tra cui 4 neonati e 3 piccoli bambini. Cosa che gli operatori della cooperativa fanno: accolgono i 10 profughi, gli danno da mangiare, gli fanno fare la doccia e danno loro abiti nuovi.

Ma i 10 profughi non stanno bene: hanno occhi arrossati, fastidio oculare, rash cutaneo pruriginoso, diffuso a mani e tronco, calazio, ascesso da infezione sugli arti e così gli operatori di AIBIC, sentito il parere del medico del centro, decidono di portarli al Pronto soccorso (dato che per l’ora tarda l’Ats, agenzia sanitaria, era chiusa) per effettuare gli accertamenti necessari e scongiurare possibili infezioni.

Qui, invece di essere visitati, ai profughi viene sbarrata la porta.

Perché? Perché come spiega il responsabile del Pronto Soccorso in una comunicazione successivamente inviata ad Ai.Bi. “questo è un Servizio dedicato alle urgenze ed emergenze cliniche cioè ai pazienti che presentano sintomi improvvisi, verosimilmente significativi di malattie per cui è necessario trattamento immediato. Non è un servizio dedicato ad interventi di prevenzione, igiene e profilassi, né agli screening di massa su soggetti sani fino a prova contraria”.

Onde evitare di dover deludere aspettative mal poste – continua –, di veder utilizzare in modo improprio i Servizi Sanitari e di ripetere situazioni d’attrito, si invita a rivolgersi, per eventuali richieste di interventi preventivi, ai Servizi dedicati: ATS – Servizio Igiene Pubblica – Dipartimento di Prevenzione”.

E se questi servizi non sono di fatto usufruibili perché chiusi? Cosa si fa? Da una parte il Pronto soccorso dice che non è di sua competenza, l’Ats è chiusa… Cosa e a chi avrebbero e dovranno in futuro rivolgersi gli operatori di un centro accoglienza migranti soprattutto quando c’è il timore di malattie infettive?

C’è da precisare che la stessa Croce Rossa al momento dello sbarco dei migranti, dopo aver fatto dei controlli di massa, ha così scrittonel foglio di consegna dei profughi “I migranti dell’elenco allegato in alto si presentano in o.b.s al momento dello sbarco non presentavano segni e/o sintomi riconducibili a malattie infettive. Si consiglia, comunque, la sorveglianza sindromica c/o il centro di accoglienza”.

Ma allora chi deve curare i profughi?  Ci chiediamo in casi come quelli accorsi ieri, a chi dobbiamo rivolgerci se non l’ATS? Esiste un altro organo deputato a ciò o dobbiamo correre il rischio di accogliere persone potenzialmente infette?

Infine ci chiediamo se tale procedura di rifiuto può essere svolta da un Pronto Soccorso. Non sarebbe stata opportuna una visita preliminare e magari un “codice bianco”? Davvero non si ravvede in quanto descritto sopra, un minimo di presupposto per un’accettazione?