Per i bambini di Sierra Leone dove la festa non è mai festa

ebolaIn Sierra Leone ci si difende dall’Ebola non uscendo di casa. E così per i bambini del Paese è stato un Natale e Capodanno da “prigionieri”. Ne parla in questo articolo Pietro Veronese, pubblicato sul Venerdì di Repubblica il 02 gennaio 2015.

Le feste non sono ancora finite, ma già sovraccarichi di cibo, dolciumi e inutile oggettistica ricevuta in dono, rivolgiamo un affettuoso e bulimico pensiero ai bambini della Sierra Leone. Loro, i bambini della Sierra Leone, il santo Natale quest’anno non lo hanno potuto celebrare. Lo hanno deciso le autorità sanitarie, o meglio il presidente Koroma in persona, perché di autorità sanitarie in Sierra Leone non è che ce ne siano granché. L’unico infettivologo del Paese, infatti, è morto nella fase iniziale dell’epidemia di Ebola, che aveva cercato (invano) di contenere e di curare.

Il motivo del divieto è facilmente intuibile: un tentativo disperato di non favorire l’ulteriore diffondersi di quella che in Sierra Leone è ormai una pandemia. Perciò, invece di omoni vestiti di rosso e con una gran barba bianca posticcia, nelle strade i bambini sierraleoniani hanno visto soldati in armi e tuta mimetica. II loro compito era impedire alla gente di uscire di casa e andare a festeggiare, magari la notte di Capodanno, mischiandosi agli altri e dando tosi nuove opportunità al contagio.

Tentativo disperato, si diceva, perché in dicembre la Sierra Leone ha superato d’un balzo la Liberia installandosi al primo posto della lista dei Paesi più colpiti. I casi registrati sono oltre ottomila, i decessi quasi duemila. “Sembra stiano aumentando” ha ammesso sconsolato il presidente Koroma. Eppure un motivo di consolazione ci sarebbe: il suo Paese è così povero, ma così povero, che anche se il Natale si fosse potuto celebrare come tutti gli anni non è che per i bambini avrebbe fatto una grande differenza.