Psicologia dell’adozione. Come affrontare il salto nel buio dell’Adozione Internazionale? 

La realtà dell’adozione è sicuramente mutata nel corso degli anni. L’immagine del figlio è inevitabilmente diversa da quella che si custodiva inizialmente nella mente e dalle aspettative dei futuri genitori

L’arrivo di un figlio in una famiglia si fonda, sempre, sull’accoglienza di qualcuno che è inevitabilmente “altro da sé”, anche in presenza di un bambino che sia somaticamente somigliante, così come avviene nella procreazione biologica.

L’incontro con l’altro

Nel caso di una adozione questa alterità è “soltanto” più evidente, perché il bambino appartiene a una etnia diversa, perché ha un differente colore della pelle, occhi a mandorla, o perché parla una lingua diversa dalla propria.
Prepararsi all’accoglienza adottiva è soprattutto questo: fare spazio a un bambino che pone immediatamente di fronte a questa diversità, che ricorda in ogni momento (inizialmente) che non si condivide con lui un vincolo biologico e che, qualora non sia stata sufficientemente elaborata, apre la strada a timori e incertezze che spesso si popolano di presenze fantasmatiche, di “non detto” e di angoscia.
I genitori adottivi rappresentano per il bambino la possibilità di riappropriarsi della condizione di figlio, diritto di cui è stato ingiustamente privato, ma l’affidarsi a loro rappresenta un grosso atto di fiducia e richiede soprattutto la presenza di uno spazio sufficientemente attrezzato e sgombro dai fantasmi di “ciò che poteva essere se” in cui il bambino possa percepire di essere finalmente accolto, amato in maniera incondizionata e accettato in tutte le sue sfaccettature, anche quelle più spigolose.
Diversamente la scelta difensiva del bambino può essere quella di estremizzare il tentativo di affermare la propria autosufficienza e indipendenza da qualsiasi legame affettivo al fine di proteggersi da un nuovo doloroso fallimento delle relazioni e che mette alla prova con sfiancanti provocazioni e sfide al fine di tastare quella relazione e soprattutto capire fino a che punto può reggere.

Le aspettative dei genitori

Nell’attesa che l’adozione si completi, sono fondamentali le fantasie che popolano i sogni dei futuri genitori: esse sono funzionali ad alimentare il progetto adottivo che, come sappiamo, ha tempi di realizzazione decisamente più dilatati rispetto a una gestazione biologica e a “tenere in vita” il bambino in attesa che il percorso si compia.
Il decreto di idoneità rappresenta il passaporto per la concretizzazione del tanto agognato desiderio adottivo ma, nonostante la percezione dei futuri genitori che lo identificano spesso come il legittimo riconoscimento finale delle proprie fatiche e della possibilità di realizzare il proprio progetto di genitorialità, esso rappresenta in realtà soltanto il punto di inizio di una nuova fase dell’iter.

Adozione nazionale e reinserimento familiare

La realtà dell’adozione è sicuramente mutata nel corso degli anni: i Paesi di provenienza stanno incrementando gli sforzi per favorire l’adozione nazionale e per facilitare tentativi di reinserimento familiare anche all’interno della famiglia allargata. L’adozione nazionale è sempre la prima via per evitare o sospendere l’istituzionalizzazione anche se sovente l’esito è fallimentare. È facile dedurre che i minori più facilmente assorbiti dal circuito nazionale siano quelli molto piccoli e senza alcuna problematica di salute.
I bambini attualmente disponibili per l’adozione internazionale sono di conseguenza quelli con qualche anno in più, con qualche acciacco legato all’incuria e all’istituzionalizzazione molto spesso reversibile, i gruppi di fratelli.
Questa seconda fase dell’iter adottivo si pone come obiettivo, la constatazione delle reali possibilità di realizzazione del progetto adottivo sulla base delle caratteristiche (età, numero di fratelli, problematiche di salute, vissuto pregresso) dei minori effettivamente disponibili per l’adozione internazionale. Qualora le fantasie che hanno cullato il progetto adottivo non si siano nel frattempo ricalibrate e avvicinate al bambino reale, diventa realisticamente ostico per gli enti realizzare il progetto di genitorialità.

Un salto nel buio per genitori e figli

L’adozione è indubbiamente un salto nel buio per tutti i protagonisti coinvolti, genitori e figlio che è inevitabilmente diverso dall’immagine che si custodiva inizialmente nella mente e dalle aspettative.
Quando questo passaggio non si verifica e quando vi sono numerose preclusioni, diviene difficile immaginare un felice compimento di quell’iter.
Conoscere la realtà dei bambini abbandonati informarsi sulle loro condizioni e i loro vissuti, confrontarsi con altre coppie in attesa, conoscere famiglie che vivono la quotidianità dell’adozione in modo diretto, sono attività importanti al fine di formarsi aspettative più realistiche e flessibili, e creare lo spazio affettivo e mentale per un bambino che si avvicini sempre più a un bambino reale.
Non è certamente scontato diventare genitori di un bambino non generato da sé, che porta una storia e caratteristiche anche molto diverse dalle proprie. Ci vuole tempo, disponibilità affettiva ed emotiva e apertura all’alterità (condizione che peraltro è comune alla procreazione biologica ma che nell’accoglienza di un minore non neonato e con un ingombrante vissuto pregresso, è inevitabilmente più evidente).

Marina Gentile
Psicologa e Psicoterapeuta Ai.Bi.