Quando la burocrazia, oltre ad essere noiosa è anche divertente!

Franco scrive:

Qualche anno fa ho adottato mia figlia dal Nepal. Abbiamo dovuto farle il permesso di soggiorno (che avevamo già fatto in occasione dell’a dozione di uno dei fratelli). La procedura ci ha portato: 1) negli uffici della pretura 2) in posta 3) in comune.La domanda posta dai referenti degli uffici era sintomatica della mancanza di una cultura dell’adozione. La prima domanda che ci fu posta (nei tre uffici) fu: Quale cittadinanza ha? E noi: italiana. Loro: non può essere italiana, se non c’è la sentenza deltribunale e d’altronde non avrebbe bisogno del permesso di soggiorno. Allora noi: nepalese. Loro: cognome? Noi: non ha cognome, se è nepalese.Loro: non Mi può non avere cognome, se non ha cognome non possiamo dargli permesso di soggiorno, residenza e quant’altro. Noi: allora ilcognome è il nostro, ma se è il nostro lei è italiana…..Risultato? Dopo settimane di discussioni hanno messo il cognome uguale al nome dibattesimo…. domanda successiva: comune di nascita: noi non c’è, non si sa. E loro: non può non essere registrata in qualche comune… Risultato:interrogazione del comune al tribunale che ha risposto: mettete il comune dove il minore è stato trovato (in strada)…. Seguirono altre domande dicui le migliori (nel senso comico) furono: ha la patente di guida? ha qualifiche di studio? E soprattutto: la sua famiglia si è trasferita con lei?

Caro Franco,

in effetti, il racconto delle peripezie che Lei ha passato per Sua figlia mostrano una certa ignoranza sulle adozioni internazionali e il lato paradossale della situazione normativa italiana, soprattutto per la confusione che spesso crea il sovrapporsi di leggi.

Secondo l’art. 3 della legge Legge 5 febbraio 1992, n. 91, “Nuove norme sulla cittadinanza”, “Il minore straniero adottato da cittadino italiano acquista la cittadinanza”. Se non che, l’art. 15 della stessa legge stabilisce che “L’acquisto o il riacquisto della cittadinanza ha effetto…dal giorno successivo a quello in cui sono adempiute le condizioni e le formalità richieste.” E dunque, in applicazione della legge speciale sull’adozione, che è la n. 184/1983 e successive modifiche, occorre osservare la formalità della richiesta di “verifica” della sentenza straniera di adozione da parte del giudice italiano (tribunale per i minorenni), perché sarà questo giudice a ordinare che la sentenza venga iscritta nei registri dello stato civile e, solo con questa iscrizione, si darà atto con effetto retroattivo del rapporto genitore-figlio che esiste dalla data della sentenza straniera. L’art. 34 della legge sull’adozione al comma 3 stabilisce, infatti, che “Il minore adottato acquista la cittadinanza italiana per effetto della trascrizione del provvedimento di adozione nei registri dello stato civile, e il procedimento da seguire è spiegato nel successivo art. 35. Sempre secondo l’art. 34, questa volta comma 1, della legge sulle adozioni, è stabilito che “Il minore che ha fatto ingresso nel territorio dello Stato sulla base di un provvedimento straniero di adozione o di affidamento a scopo di adozione gode, dal momento dell’ingresso, di tutti i diritti attribuiti al minore italiano in affidamento familiare”.

Ecco dunque che nel nostro Paese avviene la stranissima marcia indietro rispetto alla Convenzione de L’Aja del 1993 con cui ci si è impegnati a riconoscere le adozioni avvenute all’estero nel rispetto delle procedure seguite attraverso gli Enti autorizzati e certificate dalla CAI (Commissione per le Adozioni Internazionali). Il minore adottato, infatti, entra in Italia proprio sulla base di uno speciale visto rilasciato dalla CAI secondo l’art. 32 della legge sulle adozioni: “La Commissione di cui all’articolo 38, ricevuti gli atti di cui all’articolo 31 e valutate le conclusioni dell’ente incaricato, dichiara che l’adozione risponde al superiore interesse del minore e ne autorizza l’ingresso e la residenza permanente in Italia.”

Da tutte le norme ricordate, viene fuori che in effetti il minore adottato appena giunge in Italia non ha ancora la cittadinanza italiana. Sappiamo che la registrazione viene fatta col cognome quando la sentenza straniera dispone già in questo senso e per questo è evidente che nel Suo caso è mancato proprio il buon senso degli impiegati dei pubblici uffici che hanno dato dimostrazione di grande fantasia!