L’adozione nel sangue. Ricardo, figlio adottivo: “Papà non stupirti se sono monello…sono ‘Sangue del tuo sangue’ ”

Mani-padre-figlio“Sangue del tuo sangue” è un’espressione con cui generalmente si indica il legame di parentela tra due persone. Un modo di dire, nella società moderna e consumistica a volte abusato per rivendicare diritti e pretese in nome di discendenze genealogiche grazie alle quali attingere a proprietà e ricchezze.

Ma ci sono situazioni in cui la “ricchezza” che si rivendica non è quella materiale ma quella “familiare”, il riconoscimento di essere parte integrante  e “vivente” di un nucleo, il suo frutto e “risultato”.  Un “titolo” (essere sangue del tuo sangue) che assume un valore esistenziale soprattutto se a farlo proprio è un figlio adottivo guardando dritto negli occhi quel padre che anni prima lo ha tolto dall’abbandono.

Poco importa se (nel caso specifico della storia che stiamo per raccontarvi) Ricardo (nome di fantasia come gli altri presenti nell’articolo), “furbetto” come sempre, sia ricorso a questa espressione come “escamotage” per farla franca dal rimprovero di papà Maurizio per una monelleria appena commessa.

Ciò che commuove ancora oggi, a 25 anni di distanza, Maurizio è “l’orgoglio con cui Ricardo, che stavo rimproverando per l’ennesima marachella, si è girato e in maniera assolutamente disarmante mi ha detto: ‘Papà, sono sangue del tuo sangue…’ come per dire ‘non è colpa mia se sono così…monello! ’. Ammetto che non sono stato in grado di ribattere…”

Perché in fondo era vero. Ricardo, adottato a 1 anno in Brasile, a seguito di alcuni problemi di salute, si era dovuto sottoporre a diversi trattamenti clinici e infine ad una trasfusione di sangue. Sangue che, per straordinarie coincidenze della vita, solo Maurizio poteva donargliLui, papà adottivo, poteva salvare il suo piccolo: avevano lo stesso sangue, di un tipo particolare.

“Il mio era l’unico compatibile – ricorda – e c’era urgenza di procedere. Così Ricardo è stato ricoverato e quel giorno siamo stati ‘legati’ come non mai”.  Ricardo era molto piccolo e “ricordo ancora il suo sguardo impaurito, disorientato, e – continua – in qualche modo “tradito” per la sofferenza cui permettevo venisse sottoposto lasciandolo per tre ore immobilizzato in un lettino con un ago nel braccio; non parlava ancora, ma l’intensità dei suoi occhi era più eloquente di mille parole”.

“Ricardo – ricorda papà Maurizio – era stato abbandonato a 4 mesi,  e nei successivi 9 mesi di vita aveva perso talmente tanto peso (a seguito delle infezioni che si era preso) che quando lo abbiamo ‘trovato’, a 1 anno, era un esserino indifeso, lungo e magro senza neanche la forza di alzarsi dalla sua culla. Uno scricciolo che ora, a 25 anni, è grande e grosso, un vero gigante, una montagna di furbizia e di dolcezza!”.

Portato a termine l’iter adottivo papà e mamma, ancora in Brasile, si dividevano tra la casa e l’ospedale “dove andavamo in media 3/4  volte la settimana – continua papà Maurizio – per visite ed esami. Un periodo non facile in cui non sono mancati i sacrifici, le difficoltà e i momenti di scoramento, soprattutto quando abbiamo temuto che il nostro scricciolo non ce la facesse nonostante le varie cure e farmaci. Ma non aveva fatto ancora la ‘famosa’ trasfusione di sangue. Quel giorno, un medico dell’ospedale di San Paolo ci ha detto: ‘Qua abbiamo fatto tutto quello che si poteva, Ricardo adesso ha bisogno di aria di casa”. E così la nuova famiglia si è imbarcata sul primo aereo per l’Italia.

Arrivati a Milano, Ricardo aveva già un diverso colorito: ha iniziato a mangiare, a prendere peso e a crescere in altezza; e soprattutto a diventare sempre più partecipe alla vita di ogni giorno. Stava lentamente uscendo da quel silenzio in cui l’abbandono lo aveva relegato. Un miracolo. Ricardo rinasce a nuova vita e pian piano diventa quel bambino allegro, combina guai e gran furbetto…tanto da dover essere spesso rimproverato: ma ogni volta riusciva a farla franca…!

Proprio come quella volta in cui Ricardo ha ricordato al suo papà di essere “sangue del suo sangue”  e invece del castigo si è guadagnato un abbraccio. Perché l’adozione è nel sangue. Perché un figlio adottivo non ha nulla in meno o di diverso di un biologico. Ha lo stesso sangue del suo papà e mamma.