Adozione. Bambini schiavi del mito del sangue

La sentenza della CEDU che condanna l’Italia per aver dichiarato adottabile una bambina senza valutare “soluzioni meno radicali” sottolinea come il “mito del sangue” abbia ancora un peso enorme nella cultura e nella pratica riguardanti le decisioni intorno all’adozione

Con sentenza del 20 gennaio 2022 la corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) ha deciso il caso ‘Affaire DM e N contro Italia’ condannando l’Italia al pagamento di 42mila euro, oltre a 10mila euro per rimborso spese, a una madre che è stata privata definitivamente della responsabilità sulla maggiore dei tre figli, nata nel 2012.

Se l’adozione diventa una soluzione “troppo radicale”

Nel caso specifico, in cui madre e figlia erano state accolte in alcune strutture mamma-bimbo e valutate per diverso tempo dai servizi sociali del territorio in seguito a episodi di violenza del compagno sulla signora, di nazionalità cubana, è stato ritenuto che l’Italia abbia violato l’articolo 8  della convenzione europea sui diritti dell’uomo, che impone il rispetto della vita familiare. Secondo la corte, le autorità italiane hanno errato nel non disporre delle perizie né sulla capacità genitoriale né sui comportamenti sessualizzati che gli operatori dei servizi avevano notato nella bambina di 3 anni. Inoltre, l’Italia avrebbe errato nell’allontanare definitivamente e irreversibilmente la madre dalla figlia visto che esistono ‘soluzioni meno radicali’.
Secondo la Corte, infine, non è stata presa in considerazione dall’Italia la necessità di preservare finché possibile il legame tra madre e figlia anche considerato che la madre si trovava in situazione di vulnerabilità.
La decisione più forte è quella della Corte EDU di dichiarare auspicabile che le autorità interne del nostro paese riesaminino il caso alla luce della sentenza stessa e prendano le misure appropriate nell’interesse superiore della bambina.

Secondo la CEDU la situazione non giustificava la rottura del legame familiare

Si impone con vigore, dunque, nella giurisprudenza della CEDU, il principio della preservazione del legame di sangue e l’indicazione del possibile ricorso ad altre ‘soluzioni meno radicali’.
Secondo la Corte solo ‘situazioni assolutamente eccezionali’ potevano giustificare la rottura del legame familiare, mentre invece, in questo caso, la bambina è stata dichiarata adottabile per tre motivi insufficienti:
deficienze educative superficiali attribuite alla madre senza che le capacità genitoriali fossero valutate da un esperto incaricato dal tribunale;
affettività della madre giudicata disordinata senza che un programma di accompagnamento fosse stato messo in pratica;
comportamento sessualizzato della bambina senza che tale aspetto fosse approfondito tramite esperti.
Per questi motivi la sentenza di adattabilità non è stata giudicata sufficientemente motivata.
È difficile comprendere come possa essere seguita tale indicazione (ovvero l’auspicio che le autorità italiane riesaminino il caso) dal momento che la sentenza di adottabilità, confermata dalla corte di Cassazione nel 2019, è per l’Italia definitiva.