Brasile: 80.000 minori fuori famiglia, ma poche adozioni. Perché?

brasile_istituti

I minori che vivono in Brasile equivalgono quasi alla popolazione totale dell’Italia: 60 milioni.

E fra questi, circa 80.000 vivono fuori famiglia, di cui il 50 per cento ha un’età superiore a 10 anni.

Sono numeri stratosferici che danno un quadro molto chiaro dell’emergenza abbandono minorile e dell’istituzionalizzazione dei bambini. Una situazione veramente complessa che un Paese come il Brasile, che conta 190 milioni di abitanti, sta cercando seppur – con grosse difficoltà – di affrontare.

Ad occuparsene è il Pubblico Difensore Juliana Nogueira Lima Andrade, coordinatrice del Centro per la Difesa dei Bambini e degli Adolescenti, inaugurato a febbraio 2011, a Fortaleza. Attraverso un’intervista rilasciata al giornale brasiliano “O estado”, la coordinatrice del Centro per la Difesa dei Bambini e degli Adolescenti, ha tracciato un quadro della situazione attuale dei diritti all’infanzia.

Qualsiasi tipo di adozione passa per tribunale dell’Infanzia e dell’Adolescenza?

Sì. Con la nuova legge della Convivenza Familiare e Comunitaria (“Lei de Convivência Familiar e Comunitária – nº 12.010/2009”) ogni iter di adozione deve passare per il Registro Nazionale, una sorta di database che raccoglie l’elenco dei bambini adottabili e degli aspiranti genitori adottivi. Anche se esclude la cosiddetta “adozione di consegna” (in Brasile, le donne che non desiderano tenere il proprio figlio dopo il parto si possono presentare davanti al Giudice del Tribunale per i Minorenni con la famiglia a cui si vuole affidare il figlio, ndr). Da quando è stato istituito questo database, le cose funzionano molto meglio per quanto concerne l’adozione nazionale.

La povertà è il motivo per cui molti bambini sono lasciati in istituto e successivamente dichiarati adottabili?

No. La povertà non è la sola causa, la situazione di rischio è molto più ampia. Ed è inoltre importante chiarire che non tutti i bambini messi in istituto saranno necessariamente adottati. Molte mamme affidano il loro figlio all’istituto perché vivono per strada o perché non hanno lavoro. Se esistessero dei progetti per questi specifici problemi socio-economici, i bambini ritornerebbero subito in seno alla loro famiglia. Ci sono comunque stati dei progetti chiamati “affitti sociali”, grazie ai quali il tribunale pagava per 6 mesi l’affitto di casa a una famiglia per aiutarla.

Il numero di bambini adottabili è maggiore rispetto al numero delle persone disposte ad adottare. Come mai?

È una questione molto complessa. Molte coppie cercano di solito una femminuccia, piccola, sana e bianca. Difficilmente questo profilo è disponibile tra i minori adottabili. In genere la maggior parte dei bambini adottabili ha la pelle scura, qualche problema di salute, ed è in età scolare. Per loro la chance di essere adottati è sempre più distante. Allora gli operatori sociali cercano di ristabilire prima il vincolo con la famiglia biologica. E se questo non si realizza, allora si procede con la destituzione della patria potestà. Che avviene, però, con molto ritardo. Il tempo passa. E il bambino cresce ed esce dal profilo anagrafico desiderato dai pretendenti all’adozione. Il termine fissato per legge alla destituzione della patria potestà sarebbe di 120 giorni. Esistono però processi iniziati nel 2008, e non ancora conclusi.

Di chi è la colpa?

È molto difficile dare la colpa a qualcuno. Ognuno ha la sua parte di responsabilità. Attraverso delle visite agli istituti, si cerca di velocizzare questo processo. Due sono i nostri obiettivi: che il minore sia reinserito nella propria famiglia biologica, o che sia reso immediatamente disponibile per l’adozione.

L’istituzionalizzazione deve essere qualcosa di eccezionale ed estemporaneo, che duri al massimo 2 anni. Perché questo termine non è rispettato?

Quando si parla di bambini e di adolescenti, è difficile stabilire il tempo. Sono molti i fattori che portano all’istituzionalizzazione dei minori ed è difficile fissare una scadenza per destituire il vincolo familiare. Quando si capisce che non è proprio più possibile la ricostruzione di questo legame, allora si inizia col processo di destituzione della patria potestà. La giustizia deve allora procedere nel più breve tempo possibile. Perché il diritto di vivere con la famiglia deve essere garantito. È un sistema che non sta funzionando come vorremmo e stiamo cercando di capire perché.

Qual è il termine ragionevole per un processo di de-istituzionalizzazione e adozione?

Deve essere il più rapido possibile. Ci sono bambini che arrivano in istituto e su cui non c’è molto da scoprire, non hanno famiglia e tutto deve essere breve. Altre situazioni sono più complesse e qui è molto complicato stabilire un termine. Il ritardo è in generale nella giustizia e non solo nell’area dell’infanzia e adolescenza. È inammissibile un tempo così lungo per “gestire” i bambini. L’infanzia dura solo 6 anni. Il tempo vola. Altrimenti il bambino diventa grande e cresce senza che i suoi diritti vengano rispettati. Trattandosi di infanzia, non si può essere estremamente rigidi: la materia è complessa e il superiore interesse del bambino deve stare sopra tutto.