Calo della natalità nei Paesi poveri? Bene, staremo tutti meglio!

fare figliLe culle vuote superano i confini del mondo occidentale. Un recente studio americano dimostra che la diminuzione delle nascite oggi è diventato un fenomeno universale e addirittura mostra segnali di inversione di tendenza tra nord e sud del mondo. Una svolta epocale che, a detta di chi ha effettuato questa ricerca, è da interpretarsi positivamente.

Michael Teitelbaum di Harvard e Jay Winter di Yale sono i due esperti di storia della demografia autori dello studio The global spread of fertility (La diffusione globale del calo di fertilità) e di Bye-bye baby, il manifesto ottimista che esalta il declino delle nascite.

Accanto all’Europa e al Nord America, nell’elenco dei Paesi che negli ultimi anni stanno registrando una diminuzione dei neonati figurano anche Brasile, Iran, Bhutan, El Salvador, Armenia, Qatar. Anche nei Paesi del sud del mondo, quindi, sono sempre più diffusi i casi di donne che non mettono al mondo più di 2 figli a testa. Secondo le statistiche, metà della popolazione mondiale vive in nazioni dove non si supera la soglia che garantisce la stabilità della popolazione ai livelli attuali. Finanche la Cina, il Paese più popoloso del mondo, dopo aver toccato nel 2012 il picco massimo di forza lavoro attiva, ha iniziato la fase di decrescita. I più allarmisti sostengono che la Repubblica Popolare diventi vecchia prima di diventare ricca.

L’umanità intera, quindi, secondo i due studiosi americani, “è di fronte a una sorta di cambiamento geologico”. Un’inversione di tendenza che, per Teitelbaum e Winter, presenta prevalentemente aspetti positivi, “di fronte alle minacce del cambiamento climatico” e non solo. La riduzione delle nascite sarebbe infatti il risultato di un incremento dei diritti e delle opportunità per le donne e i bambini nei Paesi più poveri. In India, per esempio, il calo della procreazione significa poter assicurare un’istruzione di qualità. Una dimostrazione di questo giunge dallo stato del Kerala, dove il tasso di nascite è il più basso e al contempo il livello di sviluppo è il più alto di tutta l’India. La Cina, dal canto suo, grazie al calo delle nascite può riconvertirsi da un’economia basata sullo sfruttamento della manodopera, abbondante e sottopagata, a produzioni più qualificate e meglio retribuite. Inoltre, anche quei Paesi come Messico, Filippine e Bangladesh, che per anni erano costretti a incoraggiare l’emigrazione per alleviare i problemi di sovrappopolazione, ora potranno governare meglio i grandi flussi migratori.

Tutto ciò avviene mentre nel mondo Occidentale, alcuni Paesi mostrano segnali di inversione di tendenza. Lo spopolamento della Russia, dovuto al crollo delle nascite coinciso con i primi anni post-sovietici e con l’alta mortalità causata dall’alcoolismo, è ormai un fenomeno superato: le donne russe cominciano ad avere più figli e la mortalità si riduce. In Francia e Svezia, i giusti incentivi e sostegni alla maternità hanno fatto leggermente risalire la natalità. Negli Usa l’aumento della popolazione non è più dovuta soltanto all’apporto demografico degli immigrati, ma anche a quello portato dalle minoranze etniche già integrate nella società americana.

Secoli di letteratura e di allarmi catastrofistici, dall’economista Thomas Robert Malthus al presidente Usa Theodore Roosvelt, che parlavano di troppa natalità rispetto alle risorse naturali disponibili e di “suicidio razziale degli anglo sassoni”, a quanto pare, hanno fatto il loro tempo.

 

 

Fonte: la Repubblica