“Eravamo troppo acerbi per comprendere che non è un diritto essere genitori”

Michela scrive:
Nel 2010 venni insieme a mio marito presso una sede di Ai.Bi. per il corso informativo e la coppia che conduceva il corso iniziò spiegandoci che l’associazione fa di tutto per non sradicare il bambino dal suo Paese di origine, cerca di trovare delle soluzioni per fare in modo che il bambino cresca nel suo Paese, e, là dove non è possibile, si interviene con l’adozione, cominciando da quella nazionale. Mi ricordo che era il nostro primo incontro con l’ente e sia noi che le altre coppie restammo tutte a bocca aperta.
Ovviamente eravamo troppo acerbi per comprendere che non è un diritto essere genitori, ma è un diritto essere figli e cercare di fare tutto quello che si può per loro… Ma è possibile che ci siano persone che non abbiamo capito ancora il vero valore dell’adozione e come operano gli Enti autorizzati? Cosa pensano, che gli enti siano mercenari e noi persone disponibili a “rapire” i bambini dai loro Paesi? Ci credo che in Italia nessuno fa niente per l’adozione e, come dico io, purtroppo in televisione si parla sempre troppo poco di adozione e spesso lo si fa anche male.

Cara Michela,

concordiamo con le sue osservazioni. Ci permettono di fare dibattito sull’aspetto più drammatico dell’attuale cultura dell’adozione, il preconcetto secondo cui le adozioni internazionali non salverebbero i bambini stranieri, ma darebbero loro un motivo in più per soffrire.

Questo preconcetto si è infiltrato persino negli operatori dei servizi psico-sociali, ma è completamente agli antipodi rispetto a quanto dichiarano le Convenzioni internazionali ONU che regolano la tutela dei minori e non tengono assolutamente conto delle dimensioni dell’emergenza abbandono, se vogliamo dare ascolto alle stime dell’UNICEF che parlano di 168 milioni di minori abbandonati nel mondo.

Gli stessi operatori pubblici andrebbero formati secondo un’impostazione culturale di accompagnamento, anziché secondo una invece valutativa. Possiamo certificare che quest’impostazione è vincente e che basta a generare il buon passaparola tra le coppie. Il cattivo passaparola invece, quello sulla rigidità dei servizi sociali, non può che corroborare le coppie nella convinzione di tenersi alla larga da certi operatori e alla fin fine dell’adozione stessa.

La procedura adottiva è davvero delicata e ogni superficialità deve essere bandita. Non tutti i servizi pubblici però lavorano “contro” la coppia: ce ne sono diversi che operano in modo egregio e aiutano, consigliano, sostengono le coppie. La speranza è che dalla congiunzione delle competenze dei servizi sociali con quelle degli enti autorizzati, come abbiamo espresso nella nostra proposta di riforma legislativa, la cultura dell’adozione possa dimenticare questi tempi bui solo come una parentesi.

Irene Bertuzzi, area Formazione e Accompagnamento di Ai.Bi. Associazione Amici dei Bambini