L’adozione non è un banco di prova

Silvia scrive:
Scrivo a proposito di: Adottare? È difficile e costa troppo (Gioia 5). Da quasi 23 anni io e mio marito viviamo nella nostra casa famiglia insieme ai ragazzini che il Tribunale per i minorenni ha allontanato dalla loro famiglia per gravi problemi. Proprio questa settimana si è interrotto improvvisamente un affido sine die di un ragazzino di 9 anni, nostro ospite da quattro anni e mezzo. Dopo solo tre settimane nella famiglia affidataria, l’esperienza si è conclusa: neanche il tempo di conoscersi. Credo si possa comprendere il mio stupore leggendo la vostra intervista a Marco Griffini, Presidente di Ai.Bi., che conclude: «Quando un uomo e una donna si vedono padre e madre di un figlio non loro, sono già idonei. È necessario accelerare l’iter che le coppie devono seguire: ora può arrivare anche a 15 colloqui».

Perché non dire anche che c’è un’alta percentuale di adozioni fallite, nonostante l’iter lungo e gravoso imposto alle coppie adottanti? Alta perché, anche se i numeri sono piccoli, il costo emotivo di un bambino «restituito» è a volte insanabile. Forse anche le coppie che fanno domanda di affido e di adozione dovrebbero incontrare prima questi ragazzini. Forse si renderebbero conto che accogliere un bambino vuol dire scegliere, non «provare». Convivere con la sofferenza e cercarvi la luce, piccola e fioca, delle briciole di felicità ancora da scoprire.

Concludo: è più grave che ci siano meno famiglie che desiderano adottare o che coppie maggiormente selezionate garantiscano un porto sicuro al bambino che accolgono nella loro casa?

Silvia Zanderighi

Cara Silvia,

è certamente importante che i futuri genitori adottivi arrivino ad accogliere il loro bambino con consapevolezza e disponibilità matura.

I bambini che hanno alle spalle una storia di abbandono devono poter incontrare genitori capaci di comprendere a fondo i suoi bisogni e le sue necessità, capendone le reazioni e i comportamenti.

L’adozione è un mondo che va esplorato e conosciuto a fondo; si parte dalla disponibilità di una coppia, che è una disponibilità d’amore, di dono, di accoglienza.

A questo va aggiunto l’ingrediente della conoscenza consapevole. E questo dovrebbe essere proprio il compito degli operatori, ovvero strutturare percorsi di accompagnamento che permettano alle coppie di realizzare un’adozione con successo. L’iniziale potenziale insito nel desiderio delle famiglie va guidato, incanalato. Possiamo rappresentarci questo lavoro con una metafora, quella del pastore che accompagna le sue pecore, che le guida che sa dove condurle e che fa in modo che tutte vi arrivino avendo cure di non perderne nessuna per strada.

Elisabetta Rigobello, Psicologa e Psicoterapeuta di Ai.Bi. Associazione Amici dei Bambini