Le assurde dichiarazioni di Silvia Della Monica: “E’ compito degli enti assicurare l’adottabilità dei bambini e fare verifiche nei Paesi di origine”. L’occasione mancata di “Presa Diretta”

dellamonica“È stato necessario ascoltare le sue parole almeno 5 volte, perché davvero non riuscivamo a credere alle nostre orecchie: come può un’Autorità Centrale per le adozioni internazionali dire qualcosa in così palese contrasto con le norme che regolamentano proprio la sua materia?” Commenta così Marco Griffini, presidente di Amici dei Bambini, le dichiarazioni rilasciate dalla vicepresidente della Commissione Adozioni Internazionali Silvia Della Monica nel corso della puntata di martedì 21 febbraio della trasmissione “Restate Scomodi” di Radio Uno. Secondo Della Monica, il cui mandato è scaduto il 13 febbraio, il compito di verificare se un bambino sia adottabile o meno nei paesi stranieri apparterrebbe agli enti autorizzati italiani che, in alcuni casi, dovrebbero addirittura diffidare delle autorità dei Paesi che li hanno accreditati a operare sul loro territorio. Frasi che – come anche i meno informati sanno – vengono chiaramente smentite da quanto previsto dalla Convenzione  de L’Aja del 1993.

Riferendosi alla vicenda dei minori adottati da famiglie italiane nella Repubblica Democratica del Congo che sarebbero stati tolti ai propri genitori, in merito alla quale Amici dei Bambini è stata fatta oggetto di duri attacchi da parte di “un’inchiesta-bufala” del settimanale “l’Espresso”, la vicepresidente Cai ha detto: “Gli enti autorizzati sono associazioni che hanno il compito di assicurare l’adottabilità dei bambini. È loro compito verificare sul posto, perché il quel momento, in quelle attività, rappresentano lo Stato italiano. Ci sono funzioni delegate dallo Stato italiano, quindi in quel momento sono pubblici ufficiali. Devono svolgere nei Paesi di origine delle ricerche sociali – ha proseguito l’ex magistrato -, devono assicurare le famiglie che i bambini che adotteranno siano adottabili e naturalmente porre in discussione quello che viene presentato come verbo nel Paese di origine. E in Paesi come il Congo bisogna essere anche più attenti”.

Niente di più falso. A smentire Della Monica è la “Convenzione per la protezione dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale”, firmata a L’Aja nel 1993, che all’articolo 4 prevede che “le adozioni contemplate dalla Convenzione possono aver luogo soltanto se le autorità competenti dello Stato d’origine hanno stabilito che il minore è adottabile e “hanno constatato, dopo aver debitamente vagliato le possibilità di affidamento del minore nello Stato d’origine, che l’adozione internazionale corrisponde al suo superiore interesse”. La stessa Convenzione prevede all’articolo 16 che, “se ritiene che il minore è adottabile, l’Autorità Centrale dello Stato d’origine”, fra l’altro,redige una relazione contenente informazioni circa l’identità del minore, la sua adottabilità, il suo ambiente sociale, la sua evoluzione personale e familiare, l’anamnesi sanitaria del minore stesso e della sua famiglia, non che circa le sue necessità particolari” e si assicura che i consensi previsti dall’art. 4 sono stati ottenuti”.

La legge italiana sulle adozioni, la 184/1983, secondo cui “l’adozione di minori stranieri ha luogo conformemente ai principi e secondo le direttive della Convenzione de L’Aja del 1993” (articolo 29), elenca all’articolo 31 tutti i compiti dell’ente autorizzato, tra cui non figura in alcun modo quello di effettuare ricerche sociali sui minori potenzialmente adottabili o di verificare l’adottabilità dei bambini.

Inoltre, le Linee guida del 2008 della stessa CAI, all’articolo 12, affermano che “il referente dell’ente deve acquisire e trasferire all’ente, nel più breve tempo possibile, le informazioni disponibili, fornite dalle autorità straniere competenti, sui minori segnalati ai fini dell’abbinamento, con particolare riferimento alla storia e alle condizioni di salute”.

E la ratio di queste norme è  a tutti evidente: i rappresentanti esteri dell’ente autorizzato non devono assolutamente avere alcun contatto con  il minore e/o suoi famigliari e/o tutori prima che il minore stesso venga dichiarato adottabile dalle autorità del paese di origine. Ciò proprio per evitare che vi sia possibilità di traffico di minori.

Le frasi di Della Monica rendono efficacemente l’idea dello stato di totale confusione in cui versa in Italia l’adozione internazionale da circa 3 anni. Dispiace quindi constatare che sia andata persa in questi stessi giorni l’occasione di fare luce sulla reale situazione del settore. L’inchiesta andata in onda lunedì 20 febbraio nel corso della trasmissione di Rai Tre “Presa diretta” avrebbe infatti potuto approfondire ulteriormente, sentendo il parere di enti e famiglie, la paralisi in cui il governo Renzi ha lasciato l’adozione internazionale a partire dal 2014. Invece si è preferito nuovamente cavalcare l’onda del facile scandalo, finendo per gettare ulteriore discredito sull’operato di Ai.Bi. in Congo. Il giornalista che ha realizzato l’inchiesta si è giustamente recato nel Paese africano. Ma perché non si è confrontato anche con le autorità di Goma, autrici degli unici documenti ufficiali che smentiscono nettamente le assurde accuse a carico di Ai.Bi.? Se l’avesse fatto si sarebbe facilmente reso conto dell’insussistenza di quanto scritto in questi mesi da “l’Espresso” e avrebbe contribuito a ristabilire la verità su questa oscena bufala. Peccato che il servizio pubblico della Rai non abbia svolto, in questa occasione, la missione per la quale è stato concepito.