Legge islamica, adozione e kafala

“Non c’è stato uno sforzo congiunto per aprire le porte agli orfani musulmani perché l’aspettativa è che tutto ciò non porti ad alcun risultato …”

(Chuck Johnson, amministratore delegato, Consiglio nazionale per l’adozione)

Il pensiero comune – tra musulmani e non-musulmani – ci dice che l’adozione, come è praticata in gran parte del mondo occidentale, è estranea e vietata dai dettami dell’Islam. Questo, naturalmente, ignora la raffinatezza e le sfumature sia del diritto occidentale che dei dettami islamici. Coloro che sostengono l’adozione hanno faticato a trovare modi per aggirare le difficoltà che queste due normative causano ai minori e ai possibili futuri genitori adottivi. Con la crescita della popolazione musulmana in Occidente, vi è ora una maggiore urgenza di affrontare la questione, visto che alcuni musulmani statunitensi desiderano adottare bambini da Paesi di diritto islamico.

Quattro recenti sviluppi in ambito di Islam e adozioni, inclusa la decisione del 4 ottobre 2012 della Corte europea dei diritti dell’uomo (ECHR), (anche se non ancora definitiva), nel caso Harroudj contro la Francia, fanno intuire con un certo ottimismo che può essere arrivato il momento del cambiamento in questo settore.

Il mondo musulmano sta sollevando la questione del conflitto reale o percepito tra Occidente e dettami Islamici.  Sembra che ci siano tre motivi di tensione tra i due sistemi.

In primo luogo, il divario tra Diritto Occidentale e Legge Islamica in materia di adozioni. I giuristi islamici sono unanimi nel ritenere che l’adozione tradizionale violi le regole islamiche che mettono al centro la famiglia e la discendenza. I Giuristi islamici hanno messo a punto un modello di tutela conosciuto come kafala per risolvere questo problema e tenere in considerazione le restrizioni religiose. Infatti, in Occidente ci sono preoccupazioni circa la chiusura verso le adozioni e viene visto con favore un modello più aperto, che sta sempre più guadagnando forza. Per quanto riguarda il mondo islamico, vi è ancora una zona grigia tra il modello kafala e un modello più aperto di adozioni che deve  essere affrontata.

La seconda fonte di tensione nasce dalla semantica. Il dialogo tra i due sistemi sembra utilizzare diversi quadri di riferimento e terminologia. Invece di esplorare come il sistema di tutela della kafala islamica può contribuire a questo dibattito alcuni lo hanno respinto prematuramente. Non ci può essere un corrispettivo occidentale al concetto di kafala, tuttavia, questo non significa che un modello più aperto di adozioni non possa evolvere prendendo in considerazione alcune delle obiezioni islamiche, prendendo per esempio dal Corano la priorità sul come aiutare gli orfani, preservare il benessere dei bambini ed espandere la nozione di kafala. Il dialogo e il reciproco arricchimento possono coprire in parte questa zona grigia. Ipotesi tanto più convincente quando si nota che gli studiosi islamici ritengono che le restrizioni pre-islamiche di adozione hanno lo scopo di proteggere i bambini, mettendo fine agli abusi della società araba tribale in fase pre-islamica.

Un terzo motivo di tensione arriva dalla limitata comprensione della Legge Islamica. Il contesto specifico e la natura in costante evoluzione della Sharia (che è molto più ampia della Legge Islamica), l’enfasi dell’Islam sul benessere dei bambini, il maqasid al shariah (gli obiettivi più alti della Sharia), i principi della giurisprudenza islamica e il significato delle azioni umane nella formulazione della scoperta delle figh (le attuali leggi derivanti dalla Sharia) fornisce molta libertà nella riforma delle norme giuridiche in materia di adozione.

La radice di ognuna di queste tensioni può essere individuata nella specificità dell’Islam riguardo alla famiglia e alla discendenza, alla ereditarietà, alla consanguineità (mahramiyya), e ai legami basati sulle differenze di genere. Nonostante questi ostacoli, come detto, i quattro recenti sviluppi nel settore fanno nascere un po’ di speranza, facilitando la conciliazione, o per lo meno, contribuendo a risolvere o ridurre al minimo ciascuno degli ostacoli reali o percepiti.

Il primo impulso per una possibile trasformazione è lo studio innovativo prodotto dal Consiglio Musulmano delle donne Shura, “L’adozione e la cura dei bambini orfani: l’Islam e l’interesse superiore del fanciullo”. La relazione ha esaminato le fonti islamiche e ha concluso che “l’adozione può essere accettabile secondo il diritto islamico e i suoi obiettivi principali, purché siano seguiti i suoi importanti orientamenti etici.” Lo studio rappresenta una forma di ragionamento indipendente (ijtihad) e può portare un po’ di consapevolezza e contribuire a plasmare un futuro consenso (ijma) sulla questione. Sfortunatamente, dato che il gruppo non rappresenta studiosi di sesso maschile, il mainstream non si sente vincolato a questo. La tradizione giuridica islamica è piena di casi in cui ciò che è stato inizialmente considerato inaccettabile, o addirittura eretico, è stato accettato dall’opinione pubblica nel tempo attraverso un consenso ottenuto lentamente e con molta fatica.

In secondo luogo, i sostenitori della nuova ijtihad tra gli studiosi e giuristi tradizionali hanno cominciato a cimentarsi con i problemi che riguardano in particolare le minoranze musulmane in Occidente. Il lavoro di Tariq Ramadan, nella riforma radicale: l’Etica Islamica e la Liberazione, così come altri, offre le prospettive più promettenti per un diverso approccio al problema, almeno nel mondo occidentale. In realtà, Ingrid Mattson sostiene che anche la flessibilità nella legge islamica per accogliere culture e costumi locali può portare ad una soluzione nel contesto di adozione.

In terzo luogo, il programma del 2007 lanciato nel New South Wales, in Australia, in cui coloro che si occupano di tutelare l’infanzia hanno creato un programma di assistenza specificatamente destinata a musulmani, andando incontro al fatto che le adozioni del paese siano aperte per permettere ai bambini di mantenere legalmente il loro lignaggio. Questa iniziativa, la prima del suo genere in una nazione occidentale, costituisce un buon esempio per le altre giurisdizioni occidentali.

Infine, il 4 ottobre 2012,  nel caso di Harroudj contro la Francia, la ECHR (Corte europea dei Diritti Umani) ha confermato il rifiuto della Francia di consentire ad una donna algerina di adottare un bambino algerino, che era già sotto la sua cura e il controllo, ai sensi del sistema di tutela della kafala islamica. La decisione su Harroudj è stata motivata da altre questioni, ma per i nostri scopi, le osservazioni della Camera sul sistema kafala sono tempestive e incoraggianti. La Corte ha osservato che ai sensi della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo, il modello kafala è accettato e definito come “cura alternativa”, alla pari con l’adozione. La Corte ha anche rilevato che la kafala è riconosciuta dal diritto internazionale e dovrebbe essere un fattore decisivo nel determinare come gli Stati affrontano i conflitti che possono sorgere. La Corte ha inoltre rilevato che la kafala è stato pienamente accettata nel diritto francese e la concessione della tutela per Harroudj ha permesso di prendere tutte le decisioni nell’interesse del bambino. In conclusione, la decisione non è stata presa per il fatto di non poter trasformare la kafala in adozione. Questo riconoscimento è un passo nella giusta direzione.

Questi quattro sviluppi relativamente recenti forniscono un utile punto di partenza nella lotta per il cambiamento giuridico all’interno della tradizione giuridica islamica, a condizione che il sistema legale occidentale diventi anch’esso flessibile e aperto al dialogo.

(The Jurist)