Marocco.Ogni giorno abbandonati 24 bambini: Younes era uno di loro

Fez Children's Day 2012 #1Secondo i dati dell’UNICEF, ogni giorno in Marocco vengono abbandonati 24 bambini, di cui il 2% dalla nascita. E di questi, il governo si fa carico solo del 10% attraverso gli orfanotrofi pubblici. I restanti sono accolti sotto la protezione di associazioni. I piccoli vengono lasciati per strada, negli ospedali, nelle moschee, nei tribunali…

Di fronte a questi dati, si capisce quanto ogni minore sottratto a questo infelice destino di incertezza rappresenti una vita salvata, una futura speranza che ripaga a malincuore di tutte le sofferenze e ingiustizie subite.

Younes gioca con il telefonino, seduto ad un tavolo della caffetteria Carrion, a Rabat, e fa finta di chiamare un suo amico, con il tipico modo di parlottare dei bambini di due anni. “Parla tantissimo, in arabo, in spagnolo, in catalano, e dice persino qualcosa in francese… I camerieri li chiama monsieur”, sussurra suo padre, Álex Artigas, che lo guarda senza smettere di credere che potrà finalmente portarlo a casa, a Barcellona, in Spagna.

Ad Alex e sua moglie, Ana, di due anni più grande, è costato molto essere lì. Avevano già una figlia biologica, ma volevano avere un altro figlio e hanno pensato all’adozione internazionale. Avevano deciso per il Marocco, per consentire al bambino di mantenere un contatto più stretto – sia a livello geografico che culturale – con il Paese di origine. Così nel 2011 hanno fatto richiesta per la kafala. Sei mesi dopo, Younes, è entrato nelle loro vite: era solo un bebè di pochi mesi. “Da quando ce lo hanno messo tra le braccia, lo abbiamo considerato nostro figlio”.

Superate tutte le questioni burocratiche, sia in Spagna che in Marocco, si sono convertiti all’Islam, requisito indispensabile per chi vuole accogliere un bambino dai Paesi a maggioranza islamica.

Nel marzo del 2012 gli Artigas si trasferirono in Marocco. Prima Alex, poi sua moglie Ana con la figlia. Ma proprio quando le cose stavano andando per il meglio, ecco insorgere i primi problemi. Sembrava che la loro procedura si stesse arenando, in quanto le autorità non volevano più concedere la kafala agli stranieri. Erano diventate sospettose dopo aver scoperto alcuni casi in cui, una volta fuori dal Marocco, i genitori kafalini avevano cambiato il nome al figlio adottato.

Con l’arrivo al governo del PJD (Partito Giustizia e Sviluppo) si confermarono i peggiori sospetti. Nel settembre 2012 il ministro di Giustizia Mustafa Ramid, islamista, inviò una circolare a tutti i procuratori del regno affinché emettessero un’informativa che di fatto imponeva uno stop alle concessioni della kafala agli stranieri. Le conseguenze furono terribili, soprattutto per quelle 61 famiglie spagnole, come quella di Alex e Ana, che rimasero intrappolate nel bel mezzo delle procedure amministrative, nel limbo della burocrazia, e con un bambino già abbinato che li chiamava mamma e papà.

Dopo un’attesa estenuante e molta pazienza a giugno di quest’anno Ana e Alex hanno ricevuto l’autorizzazione che gli consentiva di portare Younes a casa, a Rabat. Mentre a fine settembre, a seguito delle forti pressioni diplomatiche e mediatiche delle famiglie spagnole che sollecitavano la kafala, sono finalmente giunti i primi permessi di uscita, i passaporti e i visti dei bambini marocchini.

Oggi la maggioranza delle famiglie spagnole di Rabat se ne è già andata o è in procinto di lasciare il Paese con i loro piccoli. Dovranno ridare slancio ad una vita rimasta paralizzata per anni. Alex spera di recuperare il suo lavoro in ambito amministrativo in Catalogna e il tanto tempo perduto, con la consapevolezza che ci sarà molto da lavorare anche per l’educazione dei propri figli. La lunga attesa, infatti, può generare nei bambini, anche quando adottati, degli stati d’ansia dettati dalla paura di essere abbandonati nuovamente. Sono bimbi con molte privazioni affettive. Non accettano un “no” come risposta nemmeno per dir loro di non mettere le dita nella presa della corrente! Non sono abituati a tanta attenzione. Nell’orfanotrofio erano uno fra tanti. Qui a casa invece sono gli unici a cui va tutto l’affetto della famiglia.

La lunga battaglia è comunque stata vinta e questo è sufficiente per la famiglia Artigas, che ha saputo sottrarre un altro innocente ad una condizione di sofferenza e disagio.

Fonte: El Confidencial