Quel bambino in affido ha dato equilibrio alla nostra famiglia

«All’affido mi sono avvicinata un po’ per caso e con molta gradualità. Abbiamo conosciuto una famiglia che aveva un bimbo in affido e assieme a mio marito abbiamo cominciato a interrogarci su questa possibilità. Poi ci siamo rivolti al nostro Comune per avere informazioni. Sono seguiti alcuni incontri con la psicologa e l’assistente sociale e da lì la curiosità è diventata più concreta».

Cristina, un marito e due figli di 19 e 15 anni, ha un bambino di dodici, Luca (nome di fantasia), in affido da un anno. Il padre del piccolo è morto e la madre ha un problema di dipendenza,così per lui è stato deciso un allontanamento temporaneo dalla famiglia. «È la mia prima esperienza e sto scoprendo moltissime cose», racconta, «prima ho avuto una bambina in affido per tre pomeriggi la settimana e un paio di bambini che hanno passato a casa nostra circa 15 giorni, ma è la prima volta che un bambino ci viene affidato stabilmente per un periodo così lungo. I ragazzi sono molto contenti e parlano già di lui come del loro fratello più piccolo».

Cristina racconta che Luca le è stato presentato dai servizi sociali come un bambino difficile, ribelle e con molti problemi scolastici. La famiglia che si candida a diventare affidataria, infatti, può esprimere preferenze sul bambino da accogliere: età, sesso, carattere e al momento della richiesta tirarsi indietro se ritiene di non essere in grado di gestire la situazione. Cristina aveva chiesto che fosse femmina e i servizi sociali, come quasi sempre in questi casi, aveva stabilito che per evitare conflitti con i suoi figli, fosse più piccolo. «È arrivato un maschio, ma non abbiamo avuto dubbi», spiega, «e poi, a dispetto delle premesse, da noi Luca si comporta benissimo. È come se avesse detto: da oggi ho la mia occasione, voglio giocarmela bene. Però è molto chiuso ed è difficile capire come sta veramente. Ci dice che è sereno e che è felice di stare con noi ma leggergli dentro è davvero molto complicato. Ci affiancano anche un’assistente sociale e una psicologa che parlano con lui e l’aiutano». Luca vede la mamma naturale una volta alla settimana, Cristina lo accompagna agli incontri e le cose tra le due famiglie sembrano procedere bene. «Non ci parliamo a lungo», dice Cristina «ma i nostri rapporti sono cordiali. Purtroppo però lei sembra non fare nulla per cercare di curarsi e così le prospettive di ritorno a casa di Luca si fanno sempre più lontane e io credo che lui ne soffra». Al momento è previsto che Luca stia da loro per tre anni, il periodo delle scuole medie. Ma le cose potrebbero cambiare.

Quando le chiedo se non ha paura di quello che potrà accadere a lei e alla sua famiglia il giorno in cui Luca se ne andrà (se se ne andrà), Cristina risponde serena: «Mi sembra di aver maturato abbastanza questa idea dell’affido. Anche prima che Luca fosse con noi ho frequentato mensilmente dei gruppi di incontri con altre famiglie affidatarie per scambiarci sensazioni ed esperienze e questo mi ha aiutato a elaborare questa esperienza. Non ho paura di affezionarmi a lui. Gli do tutto quello che posso senza risparmiarmi, ma senza aspettative, né pretese di risolvergli la vita. Non voglio pormi paletti, lui sa che non sono sua madre ma che sono pronta a dargli tutto il mio amore incondizionatamente. Sono io però a dovermi adattare a lui e alla sua realtà senza caricarlo delle mie aspettative come a volte si fa con i figli. È una bellissima esperienza per me e per la mia famiglia. Un momento di crescita e di arricchimento. È come se con lui avessimo trovato un nuovo equilibrio e i miei figli avessero riscoperto la voglia di giocare. Il futuro? Non ci spaventa. Siamo pronti all’idea che lui se ne vada o a quella che resti. In fondo chi sa davvero che cosa può riservargli il futuro?».

(Da Vanity Fair)