Rifugiati siriani: l’inferno comincia lontano dalla guerra

rifugiatisiria200Dal nostro inviato (Luigi Mariani) – Se è vero che il termine “rifugiato”, in senso giuridico e politico, corrisponde oggi a una condizione ben precisa, è anche vero che la parola in sé, dal punto di vista etimologico, descrive una realtà semplice, immediata, facilmente comprensibile a chiunque: la necessità, per milioni di persone nel mondo, di trovare un riparo sicuro, lontano dalla guerra, della violenza, dalla discriminazione.

Oggi, per tanti siriani sfuggiti a un conflitto che sta facendo scempio di un intero popolo, non esiste rifugio che possa davvero garantire loro pace, serenità e sicurezza. Mercoledì 18 giugno, per la prima volta in assoluto, è stato deliberatamente colpito un campo di profughi vicino al confine con la Giordania: l’esplosione di una delle tanto temute “barrel bomb” (le cosiddette “bombe a grappolo”), ha causato la morte di 12 persone, tra cui 9 bambini. Famiglie che speravano di essersi allontanate quanto bastava per sfuggire all’incubo dei bombardamenti e del fuoco incrociato. Civili inermi, già sradicati dal proprio mondo, costretti a lasciare la propria casa e a vivere in condizioni di estremo disagio; vittime innocenti, che hanno trovato la morte proprio dove pensavano che nemmeno la Morte stessa si sarebbe azzardata a visitarli, tali erano lo squallore e la miseria del loro “rifugio”. Ma avevano sottovalutato la crudeltà dell’uomo e della Belva famelica che lo guida in occasioni come queste.

Non sembra esserci né rifugio, né riparo sicuro, dunque, per i numerosissimi sfollati siriani all’interno del paese (6,5 milioni), o in quelli limitrofi (quasi 3 milioni, secondo stime ufficiali).

Proprio in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato, che si svolge oggi, 20 giugno, la Turchia ha annunciato che il numero di siriani registrati sul territorio ha raggiunto oltre il milione di persone. Nonostante la politica di accoglienza – per certi aspetti esemplare – messa in atto dal governo turco, che ospita 220mila profughi in 22 campi ben organizzati e al di sopra degli standard internazionali, il vero dramma si consuma nei centri urbani, dove cresce sempre di più la popolazione “invisibile” di disperati che vivono di stenti.

In questi mesi di permanenza in Turchia (da dove Amici dei Bambini coordina gli interventi nel nord della Siria), ho avuto modo di scoprire una realtà che non immaginavo. Solo nella città di Gaziantep, ad esempio, la comunità siriana ammonta a circa mezzo milione di persone (in gran parte non registrate), molte delle quali raccolte in vecchi complessi residenziali abbandonati. Anche a Reyhanli, piccolo centro al confine con la Siria, si trovano migliaia di famiglie bisognose di assistenza, spesso costrette a vivere letteralmente sulla strada, ridotte alla mendicanza e all’accattonaggio. Situazioni analoghe si riscontrano ad Antakya, Iskenderun, e – più in generale – in quasi tutti i centri più o meno grandi di “frontiera”.

E si potrebbe parlare per ore dei tanti profughi siriani che scelgono invece di imbarcarsi e attraversare il Mediterraneo, nella speranza di raggiungere l’Europa e ricostruirsi un futuro; molti di loro, quando non cadono vittime degli schiavisti e dei trafficanti di esseri umani, o non vengono arrestati e detenuti in qualche penitenziario nord africano, finiscono per naufragare a pochi chilometri dalle coste italiane.

Per questo, fino dall’inizio, l’obiettivo principale delle attività di Ai.Bi. in Siria, nel contesto più ampio del progetto “Bambini in Alto Mare”, è stato quello di prevenire ulteriormente questa “emorragia della disperazione”, e impedire che altre centinaia di famiglie lasciassero le proprie case per avventurarsi in quello che spesso si rivela essere un tragico viaggio senza ritorno. Supportando dunque le comunità di Binnish e dei villaggi vicini, Ai.Bi. vuole aiutarle a difendere il loro diritto di sentirsi a casa, nel proprio paese: perché oggi, per troppi siriani, l’inferno comincia proprio quando pensano di esserselo lasciato alle spalle, insieme alle macerie e ai morti.

In questo momento, la popolazione siriana ha bisogno di tutto l’aiuto possibile, da parte di tutti. Non restiamo a guardare.

Se vuoi dare anche tu il tuo contributo ai progetti di Ai.Bi. in Siria, per garantire ai bambini e alle famiglie siriane il diritto di sentirsi a casa, nel proprio Paese, visita il sito dedicato.