Si adotta poco e la colpa non è solo della crisi. Il presidente di Amici dei Bambini: “Più che selezionate, le coppie vanno accompagnate”

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Pubblichiamo un articolo del settimanale Donna Moderna, che parla del tragico calo che sta investendo le adozioni internazionali in Italia.

Nel 2012 la Commissione per le adozioni internazionali ha rilasciato l’autorizzazione all’ingresso in Italia per circa 3.000 bambini: il 22% in meno rispetto al 2011. Eppure l’Unicef dice che l’abbandono di minori è in crescita (dai 145 milioni del 2004 ai 168 milioni di oggi). Perché si adotta meno? Tutta colpa della crisi che limita le spese, insieme, la visione del futuro? «La congiuntura economica è una causa, ma non l’unica » spiega Marco Griffini, Presidente dell‘associazione Ai.Bi. Amici dei bambini, nata con lo scopo di dare una famiglia a ogni bimbo solo.

Semplificare le carte

Un deterrente alle adozioni sono gli estenuanti colloqui e passaggi burocratici a cui ci si deve sottoporre per essere considerati “idonei” a fare i genitori . «Tra psicologi e assistenti sociali, ci si sente messi sotto esame e costantemente inadeguati» racconta Sabrina Pozzoli, ora mamma di Valentin Victorija e Irina, tre bambini ucraini che per anni ha ospitato per le vacanze terapeutiche post Chernobyl. «Senza contare la continua richiesta di documenti e informazioni». Perché vuoi adottare? La domanda a cui ogni aspirante genitore deve rispondere per guadagnarsi l’idoneità. Premesso che la valutazione attenta delle coppie adottive è un lavoro di prevenzione obbligatorio, perché il figlio ha già subito un abbandono e si deve garantire che non accada di nuovo, è pur vero che la trafila può essere estenuante. Fino a che punto, poi, questo minuzioso scandaglio è a tutela dell’adottato? «Più della selezione credo che occorra la preparazione» sostiene Marco Griffini dell’Ai.Bi. «Fare domanda vuol dire sentirsi già padre o madre di un figlio non proprio. L’adozione è un atto di fede: “Credo nell’essere tuo padre, anche se non sei carne della mia carne”». Ma il percorso adottivo è spesso accidentato, dal punto vista psicologico e anche da quello burocratico. La conferma che un problema esiste è arrivata pochi giorni fa da Annamaria Cancellieri, ministro della Giustizia, che ha puntato il dito contro la “farraginosità delle procedure” e si è detta intenzionata a creare una commissione che valuti la legge e proponga modifiche.

DonnaModerna-fotoContemporaneamente è arrivata la proposta dei deputati Mario Caruso e Khalid Chaould di dare la possibilità ai single di adottare i numerosi “special need”, ossia bimbi in genere in età scolare, con fratelli e spesso con problemi di salute. L’ idea però non convince Paola Crestani, presidente del Ciai, che si occupa di adozioni internazionali. «Lo Stato offre servizi di assistenza scarsi: se già per una coppia occuparsi di figli con esigenze particolari è dura , per una persona sola lo sarebbe ancora di più ». Ma perché le adozioni calano? E cosa potrebbe facilitare l percorso di chi vuole dare una speranza ai bambini soli?

Ridurre le spese

Il primo punto dolente sono i costi. Il prezzo di un’adozione è più o meno quello di un’ automobile: si parte da 15.000 euro e si può arrivare a 25.000, dipende dal luogo di origine dei bambini e dall’ente intermediario .Si comincia da una base che va da 4.000 a 8.000 euro per la procedura in Italia, a cui si devono sommare le spese burocratiche (la Cina, per esempio,chiede 3.000 euro), quelle per il viaggio, il soggiorno, l’interprete e per la legalizzazione degli atti tradotti. Qualche Stato, come la Russia, chiede esami medici che i genitori devono fare sul posto e costano altri 1500 euro . « Sono cifre esagerate » protesta Sabrina Pozzoli . « Noi abbiamo speso circa 30.000 euro tra il documentabile e il non, dove per non documentabile intendo il denaro per oliare la pratica: per accorciare i tempi d’attesa di un’udienza in Ucraina – in media tre mesi – si è costretti a pagare un extra».

Come ridurre e rendere più trasparenti i costi? «Il problema è la corruzione e ci sono coppie che partono con buste di denaro » dice Marco Griffini. «I costi all’estero vanno regolarizzati lavorando con ogni singolo Paese: basta trovare la volontà politica».

Creare la lista dei bimbi italiani adottabili

Per far accedere più coppie all’adozione, anche quelle con un budget ridotto, basterebbe permettere di adottare un maggior numero di bambini italiani. Secondo uno studio del ministero del Lavoro e delle politiche sociali, in collaborazione con l’Istituto degli Innocenti, fra i 29.000 minori ospiti delle comunità educative o accolti dalle famiglie affidatarie ce ne sarebbero quasi 3.000 adottabili. Ma la questione non ruota solo intorno ai numeri, prima si devono abbattere due luoghi comuni: uno sostiene che in Italia non si adotta perché i bambini disponibili sono troppo grandi . Però è falso: solo il 17% dei minori ospiti delle comunità ha un’ età compresa fra i 6 e ho anni; per la maggior parte sono piccoli . Secondo nodo: si dice che siano disponibili soprattutto bambini disabili; in realtà, poco meno di uno su io presenta forme di disabilità certificata. La verità è che se poche famiglie adottano è per mancanza di informazioni: non si sa se e dove ci sono piccoli disponibili, perché non esiste una banca dati nazionale. Dopo il ricorso presentato al Tar del Lazio da parte dell’Ai.Bi., il ministero di Giustizia ora dovrà creare un database: i 29 Tribunali dei minori esistenti vanno messi in rete; il problema è che per il momento solo 8 sono informatizzati e quindi in grado di comunicare tra loro . E le conseguenze sono al limite del paradosso: se c’ è un bimbo adottabile a Palermo ma nessuno lo sa , una famiglia italiana finisce per andare a cercare in Brasile.

Ridiscutere l’età dei genitori

In Italia in media si diventa madre biologica attorno ai 32 anni e madre adottiva intorno ai 4o-43 anni. Ma mentre per la prima non esistono vincoli legali di età , per la seconda è addirittura la legge a mettere il paletto , prevedendo che la differenza tra genitore e figlio non superi i 45 anni. «Quello dell’ età è un punto critico, è vero» premette Loredana Paradiso, psicopedagogista e responsabile scientifico dell’associazione Adozione Percorsi. « Una coppia che si è messa insieme intorno ai 35-37 anni, che ha cercato di avere un figlio senza successo , arriva all’ adozione intorno ai 4o-43 anni e prende , come dicono le statistiche , un piccolo di circa 6 anni . Quando il genitore sarà sui 6o e inizierà ad avere meno energie , si troverà con un figlio di 18 e al massimo del bisogno di sostegno. In quel momento molte coppie adottive entrano in crisi. Ecco perché sarebbe importante tutelare il diritto del bambino ad avere genitori sufficientemente giovani , in grado di sostenerlo nelle fasi delicate come l’adolescenza a cui, nel caso dell’adozione, si somma il trauma dell’abbandono » . D’ altro canto i tempi non si possono accelerare: si rischierebbe di peggiorare la situazione: « Il percorso adottivo è lungo e complesso, richiede serenità e forte motivazione.

Per questo bisogna aver prima sondato la ricerca di un figlio biologico fino in fondo, non lasciando nulla di intentato, anche la fecondazione assistita » conclude la dottoressa Paradiso.

Aprire ai single e alle coppie gay

«Per motivi economici non possiamo andare all’estero ad adottare. Quindi stiamo cercando un modo per farlo in Italia» raccontano Nicola e Marco. «Abbiamo sentito avvocati e associazioni, ma sembra impossibile ». C’è un calo di adozioni da parte delle coppie etero, ma cresce la determinazione di quelle omosessuali e di persone non sposate (bisogna esserlo da 3 anni per adottare). Per ora non ci sono segnali di apertura a livello politico. Al massimo c’è qualche “adozione particolare”, come quella di Cristina Fazzi,  il medico single di Enna che nel 2011 ha preso un bimbo dello Zambia, ottenendo poi la ratifica dell’atto in Italia. «Si tratta di una sorta di adozione “leggera”: il genitore si assume i doveri di mantenimento, istruzione e educazione, ma il figlio non perde il legame con la famiglia d’origine e l’adozione è valida solo fino alla maggiore età » spiega l’avvocato Rita Rossi,  esperta di diritto di famiglia.

Fonte: Da Donna Moderna