Libia. Dopo la morte di Gheddafi, noi famiglie di colore siamo diventate i capri espiatori di ogni delinquente

bimba-orsacchiotto-400-2862Se gli chiedi quale sia il suo sogno ora che è in Italia, Aboubacar ti guarda quasi sorpreso da quella domanda. “Il mio sogno l’ho già realizzato quasi per intero – ti spiega -: essere qui, in salvo, con mia moglie che aspetta un bambino. “Quasi per intero” perché una parte dell’impresa è ancora da compiere: riuscire a portare in Europa anche le due bambine che lui e sua moglie hanno per il momento lasciato in Guinea con la nonna paterna. Aboubacar ha 24 anni e un passato da calciatore di buon livello in Libia, fin dagli ultimi anni di Gheddafi. Dopo la caduta del Colonnello, la situazione è sprofondata nell’anarchia più totale e la popolazione di colore è diventata il capro espiatorio di delinquenti di ogni tipo. “All’improvviso ti entra gente in casa spacciandosi per poliziotti e ti ruba tutto ciò che hai – ricorda -. Se non hai quello che ti chiedono ti uccidono”. E pensare che la Libia all’inizio aveva rappresentato la salvezza per Aboubacar e sua moglie, in fuga dal loro Paese di origine: la Guinea, che, in quanto a violenza diffusa, non ha purtroppo niente da invidiare alla Libia. “Ci sono molti gruppi politici in lotta tra loro – spiega ancora il giovane –. Basta incontrare per strada un membro di un gruppo opposto al tuo ed essere riconosciuto come appartenente a una delle fazioni rivali e ti possono sparare senza farsi tanti problemi. Tra chi agisce in questo modo ci sono anche molti ex militari”.

È da questo mondo di atrocità e violenza che Aboubacar e sua moglie sono scappati. Lo hanno fatto come centinaia di altri migranti africani: a bordo di una delle tante carrette del mare che tentano di solcare il Mediterraneo, finendo molto spesso a picco con tutto il loro carico di disperazione e speranze e contribuendo a trasformare il Mare Nostrum nel più grande cimitero al mondo. Ai due giovani guineiani è andata bene: sono stati soccorsi prima che accadesse il peggio, sono giunti incolumi nel porto di Catania e da lì trasferiti in provincia di Milano. Dove hanno trovato una casa, un luogo protetto in cui essere accolti e accogliere, tra qualche mese, il loro piccolo. Questo luogo è “La Tenda di Abramo”, il centro di accoglienza per famiglie migranti recentemente inaugurato da Amici dei Bambini in accordo con la Prefettura del capoluogo lombardo. Una palazzina come tante altre dell’hinterland milanese, che al suo interno, però, nasconde un calore che, chi ha dovuto fronteggiare violenze di ogni genere e un viaggio a perenne contatto con la morte, forse neanche sognava più. Ecco perché Aboubacar il suo sogno dice di averlo già realizzato quasi del tutto.

Il suo racconto è la migliore testimonianza di come “La Tenda di Abramo” sia lontana anni luce dai famigerati centri di accoglienza in cui i migranti vengono ammassati a centinaia senza alcun rispetto della loro dignità. Amici dei Bambini ha preferito realizzare una struttura d’accoglienza a misura di famiglia. Piccoli numeri – non più di 8 nuclei familiari per un massimo di 20 persone – ma grande calore e attenzione a ogni necessità di ciascun ospite. Un’accoglienza sicuramente più degna e proprio per questo più onerosa. Ma necessaria per prevenire i brutti episodi legati all’immigrazione di cui troppo spesso si legge sui giornali. Per continuare a perseguire questo scopo, serve un piccolo impegno da parte di tutti: un Sostegno a Distanza, un atto di generosità per un’accoglienza più giusta.