Milano. Il viaggio dei migranti raccontato ai più giovani: con un gioco testimonianza i ragazzi entrano nelle emozioni dei popoli in fuga

07Il gioco è da sempre un generatore di empatia, capace non solo di divertire ma anche di insegnare e di proiettarci con un po’ di fantasia verso realtà lontane dalla nostra quotidianità. Partendo da questa idea, a inizio febbraio, Ai.Bi. ha dedicato una serata speciale ai ragazzi dell’oratorio milanese di Santa Giustina: un’occasione per conoscere, proprio attraverso il gioco, l’esperienza dei migranti.

Il parroco di Santa Giustina, che ospita nei suoi locali il centro servizi alla famiglia “Fidarsi della Vita” di Ai.Bi., ha chiesto alla nostra associazione di presentare ai giovanissimi frequentatori della parrocchia una testimonianza sull’accoglienza di chi fugge dalla guerra e dalla miseria. Ma come fare ad appassionare a un tema così delicato una fascia d’età dall’attenzione tradizionalmente molto sfuggente? La soluzione è arrivata da Matteo, uno studente del Politecnico in questo periodo impegnato con i suoi compagni di corso nella realizzazione di un progetto di design destinato al sociale. Progetto che si è concretizzano in The Journey, un gioco di società ispirato proprio al viaggio dei migranti. L’anello di congiunzione in tutto questo è Silvia, amica di Matteo ed educatrice della Tenda, la piccola casa di accoglienza di Ai.Bi. per famiglie di richiedenti asilo con figli. È stata proprio Silvia, insieme a Davide – volontario per le strutture e i servizi di accoglienza del progetto Bambini in Alto Mare e in particolare per La Casa di Pinocchio, la comunità di Ai.Bi. per minori stranieri non accompagnati -, ad animare la serata-testimonianza al csf per i ragazzi di Santa Giustina. Una testimonianza sotto forma di gioco. 

Senza conoscere in partenza il tema specifico di The Journey e quindi immuni da ogni pregiudizio, il gruppo di circa 30 tra adolescenti e preadolescenti si è trovato coinvolto in un gioco di società che simulava un viaggio. Un’avventura da affrontare svolgendo una serie di attività e potendo contare su svariate risorse, tutte simboleggiate da altrettante carte da gioco, con l’obiettivo di ricostruire una mappa. E con un’unica fondamentale strategia: fare squadra, aiutarsi a vicenda, sentirsi tutti sulla stessa barca. Perché si sopravvive insieme o si affonda insieme: come i migranti sul barcone.

“Ogni giocatore per fare quanto previsto dalla propria carta-attività aveva bisogno di una o più carte-risorsa – spiega Silvia –. Se non l’aveva tra le proprie, doveva chiederle agli altri e, allo stesso modo, doveva cedere le proprie. Era quindi importante che ciascuno condividesse le proprie risorse, stando attento alle richieste degli altri giocatori. I ritmi del gioco erano incalzanti e il tempo a disposizione brevissimo: si agiva tutti insieme e questo creava difficoltà di comunicazione e confusione, voluta, che per i ragazzi è stata fonte di divertimento. La tipologia di attività e le emozioni suscitate e provate sono state pensate per richiamare l’esperienza del viaggio migratorio”. Il cammino nel deserto, un’infezione, il duro lavoro nei campi, un pericolo imminente: queste alcune delle situazioni previste dalle carte, sperimentate in modo simulato dai partecipanti. Sfide da vincere grazie a una serie di risorse: dall’acqua agli amici, dalla famiglia a una coperta. “Proseguendo nel gioco i ragazzi iniziavano a rendersi conto di quale fosse il tema del gioco – racconta ancora Silvia – e di quali siano le difficoltà che ogni migrante incontra nel suo percorso: la guerra, le difficoltà di comunicazione, la solitudine…”.

Al gioco ha fatto seguito un momento di confronto su quali emozioni i ragazzi avessero provato durante il gioco. Le risposte sono state diverse: confusione, ansia dovuta allo scorrere del tempo, ma anche divertimento e bisogno di aiuto. “Matteo ha spiegato che il gioco è stato pensato per suscitare questo tipo di emozioni – evidenzia Silvia -, perché i ragazzi potessero sperimentarle in prima persona, e poi, insieme agli educatori, riflettere sul loro significato, contestualizzandole nel racconto del viaggio migratorio e così entrare in maggiore empatia con quelle dei migranti”. “Perché a un certo punto mi sono ritrovato da solo e con gli occhi chiusi?”, ha chiesto uno dei ragazzi nella fase di confronto finale. La sua carta in un momento del gioco prevedeva che tenesse gli occhi chiusi senza rendersi conto di che cosa accedesse attorno a lui, mentre gli altri si riparavano sotto il tavolo come comandato dalla carta che simulava l’arrivo di una bomba. “Quella situazione – spiega ancora Silvia – ha permesso a me e Davide di raccontare ai ragazzi come i pericoli, quali confusione e spostamenti notturni, simulati dagli occhi chiusi, siano esperienze quotidiane di chi è costretto a scappare. È stata anche l’occasione per spiegare ai ragazzi che a volte i viaggi avvengono in compagnia, come per le famiglie ospiti della Tenda, mentre per altri avviene in solitudine, come per i minori della Casa di Pinocchio”. “Le attività previste dal gioco – commenta infine Silvia – hanno permesso ai ragazzi di sperimentare, simulandoli, emozioni e vissuti che i migranti affrontano nella realtà: credo che questa esperienza abbia provocato nei ragazzi una ‘traccia’, forse più significativa di quella che avrebbe lasciato una semplice narrazione, come una classica testimonianza”.