Suicidio assistito. Se la morte diventa un rimedio alla sofferenza

Manca poco ormai alla data del 24 settembre, con il pronunciamento definitivo sull’articolo 580 del Codice penale

Manca davvero poco al termine del 24 settembre. La data entro la quale il Parlamento dovrebbe (avrebbe dovuto…) legiferare sul fine vita, responsabilità della quale era stato investito dalla Corte costituzionale. Che, in quella stessa data, si pronuncerà sull’incostituzionalità dell’articolo 580 del Codice penale. Articolo che punisce chiunque istighi una persona al suicidio o l’aiuti a metterlo in pratica.

Dopo questa scadenza, la scelta di togliersi la vita, in Italia, potrebbe di fatto trovarsi a essere legittimata. Sono dunque giornate di drammatica importanza. Una lettura interessante del fenomeno è quella di Assuntina Morresi, bioeticista e docente di Chimica e Fisica dell’Università di Perugia, che ne scrive su Avvenire.

“Se la morte on demand – scrive la Morresi – si realizza con il suicidio assistito, dove il medico non fa iniezioni né stacca macchinari (come avviene per l’eutanasia), ma deve solo fornire il prodotto letale da bere, la presunta libertà personale sembra ancora più evidente: io chiedo la morte e me la dò da solo. Quando, come e dove voglio”. E ancora “una malattia inguaribile, la solitudine, la vecchiaia, sono circostanze che non controlliamo. Come affrontarle? Malattie letali, ma anche patologie croniche invalidanti come l’Alzheimer e le forme di demenza con cui convivere decenni: condizioni molto costose economicamente e anche dal punto di vista del tempo impegnato nella assistenza, il tutto senza alcuna prospettiva di miglioramento. È a questo punto che scatta quel ‘tendere la mano’ a chi ha bisogno, l’umana solidarietà che inventa soluzioni, che ha fatto nascere tante nuove professionalità non solo mediche, e poi reti di relazioni umane e quindi opere di volontariato e servizi in sostegno alle vulnerabilità e la politica che ne segue, intesa come progettualità del vivere comune: quanta vita si organizza per accompagnare la vita fragile!”.

“Una legge – prosegue la Morresi – che consenta di morire su richiesta cambia radicalmente questo panorama perché apre una scorciatoia per eliminare la sofferenza, una apparente via di fuga più diretta, per tutti. Saremo noi per primi a volere farla finita, se ci sentiremo un peso insostenibile per i nostri familiari, o, peggio ancora, se la solitudine dell’inverno demografico, privandoci di figli e parenti, ci condannerà a vivere la parte finale della vita in residenze apposite, decise dall’entità della nostra pensione: perché trascinare così la propria esistenza se lo Stato offre anche una soluzione veloce, definitiva, tutto sommano economica e indolore?”.

“Con l’eutanasia – conclude – è l’umana solidarietà a morire, e le leggi che la consentono sono come il fumo che copre la salvezza delle scale antincendio: sono circostanze che favoriscono la richiesta di morte, spacciandola come soluzione possibile alla sofferenza umana”.