Che male c’è ad accogliere un bimbo in affido, con la speranza di adottarlo?

Gentile Cristina Riccardi,
ho letto la sua posizione non favorevole all’adozione dopo 24 mesi di affido. Quale degli articoli della proposta di legge 1209 renderebbe meno chiari i confini tra affido e adozione e in quale modo risulterebbe danneggiata la tutela del diritto alla famiglia di ogni bambino? Il DDL è studiato per garantire questo diritto senza aggiungere ulteriori sofferenze a quante ne ha già vissute. Che male ci sarebbe se famiglie con (anche) un intento adottivo si avvicinassero all’affido e alle sue regole, ammettendo una eventuale adozione se il tribunale dovesse decidere in tal senso? Voler adottare un bambino non è un reato e se ciò avviene attraverso l’affido è una buona cosa per tutti, per bambini in primis, per i genitori e per le amministrazioni. Inoltre sarebbe anche in linea con quanto avviene nel mondo. Come gli affidatari potrebbero “farsi molto male” sulla base degli articoli del DDL? A mio avviso è esattamente il contrario di quanto lei afferma. Le uniche vere vittime sono sempre e solo i bambini. E’ a loro che si fa molto male quando dopo anni di vita trascorsi in una famiglia, anche disponibile all’adozione, vengono strappati da affetti e abitudini in forza della “netta divisione di due istituti “che, secondo Lei, devono rimanere ben distinti” (e che nella prassi quotidiana non lo sono). Questa proposta di legge ha come scopo di rendere uniformi le decisioni dei tribunali su tutto il territorio italiano e di riconoscere il prolungato periodo di affidamento familiare tra le cause che hanno determinato “un rapporto stabile e duraturo e un solido legame affettivo”. In tutta franchezza, le motivazioni che Lei adduce per contrastare il DDL 1209 mi sembrano molto deboli e in netto contrasto da quanto sottoscritto da Ai.Bi. insieme ad altre associazioni nel documento “La tutela della continuità degli affetti dei minori affidati”. Ci vuole onestà intellettuale davanti ai bambini che soffrono e occorre abbandonare i personalismi.
Grazie se vorrà pubblicare la presente replica.
Cordialità
Martina

riccardiGentile Martina,
la confusione a cui ho fatto riferimento è la stessa che lei dimostra in questo suo commento.
L’affido è, e deve essere, uno strumento attraverso il quale si assicura al bambino la reale possibilità di rientrare al più presto nella sua famiglia.
L’ipocrisia, il buonismo, la mancanza di responsabilità stanno nel non voler riconoscere fin da principio l’eventuale impossibilità che ciò avvenga.
Non occorre mettere mano alla legge che è già chiara. Esistono altri strumenti per le situazioni in cui il recupero della famiglia d’origine è improbabile, individuando, per l’accoglienza, famiglie disponibili all’adozione e in possesso dei requisiti (i rischi in questo modo ricadono sugli adulti e non sui minori). Perché allargare le maglie tra affido e adozione? Perché invece non cercare di operare per il supremo interesse del bambino e della famiglia accogliente con chiarezza fin da principio? L’impressione è che di fronte al reale problema degli affidi troppo lunghi, per cercarne la soluzione si parta dalla parte sbagliata.
Un “prolungato periodo di affidamento” è da considerarsi un abuso nei confronti del bambino e della sua famiglia. Tutti noi sappiamo bene che i tempi degli affidi sono lunghi, nella maggior parte dei casi, perché manca il sostegno al progetto e in particolare l’accompagnamento della famiglia d’origine che viene lasciata completamente sola!
Non mi sembra che il documento citato del Tavolo Nazionale Affido invochi una modifica della legge; chiede una maggior attenzione per quelle situazioni in cui un bimbo in affido viene dichiarato adottabile a prescindere dalla durata dell’affido stesso. Tutelare la continuità degli affetti, che non sono determinati esclusivamente dalla durata, non significa necessariamente che il bambino rimanga con la famiglia affidataria, significa fare in modo che un eventuale passaggio alla famiglia adottiva avvenga nel rispetto dei legami precedentemente costituiti. Questo documento chiede attenzione anche per i passaggi tra diverse situazioni di accoglienza.
Cosa c’è di male se una famiglia utilizza l’affido per arrivare ad una adozione? Beh! Trovo eticamente poco corretto il fatto che si pensi (e a volte si speri!) che una famiglia in difficoltà non riesca ad andare oltre i suoi limiti per adottarne il figlio, evitando il lungo ed estenuante iter per avere l’idoneità all’adozione. Come potrebbero “farsi male” gli affidatari? Semplicemente vedendosi moralmente obbligati all’adozione di un bimbo che hanno accolto per anni. Inserire l’elemento “prolungato periodo di affidamento” come elemento discriminante per l’adozione da parte degli affidatari, al fianco dello “stabile e duraturo” significa porre l’accento su aspetti che non sono garanzia del fatto che la relazione sia anche buona e capace di soddisfare il bisogno del bambino di essere profondamente figlio.
Per concludere: siamo convinti che per le situazioni in cui sia fondamentale per un bambino rimanere con la famiglia affidataria, la normativa sia assolutamente tutelante, mentre non lo è affatto per tutto ciò che riguarda il contenimento dei tempi del progetto d’affido.
Per concludere, adottare un bambino non è affatto un reato, al contrario è un atto di giustizia e come tale richiede anche chiarezza normativa. Allo stesso modo l’affido familiare, in quanto garanzia del diritto a crescere in una famiglia, è un atto di giustizia nei confronti di un bambino purché non venga manipolato.
Cordiali saluti

Cristina Riccardi

Membro  del Consiglio Direttivo di Ai.Bi.  e referente politico per l’Affido