Denatalità. “Avrò voglia di cambiare la mia vita per lui?”

Di fronte alla crisi delle nascite è necessario porsi una domanda fondamentale circa il ruolo della famiglia di oggi. La scrittrice Antonella Boralevi offre il suo interessante punto di vista

Ci sono periodi nei quali se ne parla di più e altri in cui, invece, l’argomento rimane un po’ in sordina. Ma il problema della drammatica denatalità in Italia è sempre e comunque una delle priorità politiche e sociali che il nostro Paese deve affrontare. Ogni spunto di riflessione e di discussione, dunque, è il benvenuto, anche solo nel suo riportare la questione al centro del dibattito e fornire un’ulteriore spinta verso una possibile inversione di tendenza.
In questo senso, un bel contributo arriva dall’articolo pubblicato sull’HuffPost a firma della scrittrice Antonella Boralevi che si interroga sull’origine e le cause della crisi della denatalità partendo da un parallelismo con l’altra grande “crisi” del nostro tempo: quella climatica.
“Sono due crisi  – scrive Boralevi – che hanno a che fare con la più intrattabile delle parole: “FINE”.
Fine del mondo a cui siamo abituati, che ci è sembrato sicuro fino a stamattina”.

Diminuiscono i figli ma aumenta il desiderio di averne

Tra le due, però, una differenza subito evidente c’è: quella delle nascite è una crisi dimostrata dai numeri. E sui numeri, si sa, barare è difficile, ma soprattutto è inutile procedere per ideologie. La scrittrice, quindi, comincia la sua analisi evidenziando come il “calo delle nascite” sia, in fin dei conti, il calo dei genitori. Con un paradosso: “Sempre meno persone decidono di fare un figlio”, ma “sempre più persone un figlio lo vogliono a tutti i costi”.
Non si tratta di una contraddizione, prosegue l’articolo, perché la realtà è che davvero un figlio “incarna insieme fiducia e terrore”. Da una parte, infatti, immaginare un figlio significa immaginare un futuro che va oltre la propria morte; significa pensare a “nipoti e bisnipoti” e “vecchi video… che girano su internet per l’eternità”. Dall’altra parte, però, un figlio significa anche una “immensa paura”. Paure concrete, che partono dai dubbi economici e abbracciano quelli educativi, ma che, secondo Boralevi, in realtà nascondono la dubbio più importante che è vietato esprimere: “Avrò voglia di cambiare la mia vita per lui?”
Per rispondere, la riflessione ripercorre brevemente alcuni modelli storici di famiglia, sottolineando come il suo concetto “moderno” sia una creazione piuttosto recente, nata con la rivoluzione industriale ed evolutasi con la nascita della borghesia.
Ma, oggi, al di là di quello che le diverse religioni credono e professano, che cosa è davvero una famiglia, nel senso “laico” del termine?

Se essere genitore diventa una “prestazione” da misurare

Difficile, qui, riassumere il pensiero della Boralevi. Meglio riportare precisamente le sue parole: “Se proviamo a essere onesti, è una idea [quella laica della famiglia n.d.r.] che chiama in causa, oltre alla generosità, l’egoismo. Pratichiamo una cultura della famiglia come sodalizio da cui deve venire un utile ai partecipanti. Ma anche la famiglia come luogo di libertà individuale. La nostra abitudine a prendere, invece di dare non aiuta certo a creare una famiglia. Meglio soli, meglio in due. Meno rischi, meno ansie. I figli muoiono negli incidenti, si ammalano per l’inquinamento, vengono violentati e bullizzati, si ubriacano a 12 anni, si drogano già a 14, fanno i giochi di morte incitati dal web”.
Ecco quello che spaventa: l’idea che genitore significhi dover essere, insieme, colui che provvede al mantenimento economico dei figli e colui che li salva da pericoli “sempre nuovi e sempre più feroci”. E, in tutto questo, dove va a finire la mia libertà personale?
Ecco, dunque, la conclusione: fare il genitore è finito per diventare, oggi, solo una “prestazione d’opera”? Questo è il nodo cruciale: “La famiglia proletaria e borghese si reggeva sulla fatica delle donne, sulla loro sopportazione, sulla rinuncia a sé stesse. La nuova famiglia è un centro di servizi, dove pretendiamo ormai parità e compensi statali. Infatti le politiche della natalità basate sulla detassazione e sulla fornitura di servizi esterni, fanno crescere il numero dei neonati. E l’amore? Quello serve sempre. Il tema è non usarlo come anestetico”.