Lasciti. Che cosa può succedere se l’eredità non viene accettata entro i termini di legge? 

A partire dalla domanda di un lettore, ecco una panoramica su tempi e modus operandi per l’accettazione di un’eredità

La perdita di una persona cara può portare a decisioni importanti riguardanti l’eredità, è fondamentale comprendere le tempistiche previste dalla legge italiana.
Filippo, attraverso la sua richiesta di chiarimenti, offre l’opportunità di esplorare le dinamiche dell’accettazione e della rinuncia all’eredità, svelando le implicazioni di tali scelte e i termini entro cui esse devono essere effettuate.

La richieste di Filippo

Buongiorno,
mi chiamo Filippo.
Vorrei avere qualche informazione sui termini per accettare l’eredità o per rinunciarvi?
In particolare, vorrei sapere che cosa può succedere se l’eredità non viene accettata entro i termini di legge.
Grazie,
Filippo

Rispondiamo alla prima parte della sua prima domanda, dicendole che il termine per l’accettazione dell’eredità si prescrive in 10 anni a far data dall’apertura della successione; il decorso di detto termine comporta l’estinzione del diritto a ereditare. Ciò è sancito dall’art. 480 c.c.
È un termine che non può essere interrotto, ma solo sospeso in un unico caso e cioè quando l’erede figura anche quale chiamato ulteriore, nel senso che il suo diritto ereditario entra nel computo delle quote della successione per effetto della mancata accettazione si chi risulta chiamato prima di lui; in tal caso il termine decennale inizia il suo decorso solo quando si esaurisce i diritto del chiamato prima di lui.

In caso di mancata accettazione

Per quanto riguarda la sorte dei beni in caso di mancata accettazione il codice non è così esplicito, ma possiamo rispondere che se il termine decorre senza che l’erede abbia accettato si considera come se avesse rinunciato.
In questo caso la sua quota va ai suoi figli (se è il figlio o il fratello del defunto) o ad accrescere la quota degli altri eredi (nei restanti casi) oppure in assenza di altri eredi oltre lui, viene incamerata dallo Stato.
L’accettazione così come ora indicata può apparire un atto formale, e così è, ma vi è anche un’altra forma di accettazione, quella tacita, cioè quella effettuata attraverso comportamenti concreti di disposizione del patrimonio del defunto (per esempio il figlio del defunto che prelevo dal conto del padre una somma di denaro o che vende o loca la casa del genitore defunto). Sono atti di evidente interesse sui beni in successione e quindi incompatibili con la volontà di rinuncia all’eredità;  dal loro compimento la legge considera il chiamato erede a tutti gli effetti.
Facciamo una annotazione: occorre fare molta attenzione nel periodo di decorrenza del termine per l’accettazione poiché la stessa, che sia espressa o tacita, è irrevocabile e quindi un atto che non sia esclusivamente conservativo effettuato sui beni del defunto potrebbe determinare l’accettazione dell’intera massa (comprensiva di eventuali debiti).

L’accettazione tacita

Sul concetto di atti di accettazione tacita, la giurisprudenza ha chiarito che l’accettazione tacita di eredità può desumersi soltanto dall’esplicazione di un’attività personale del chiamato tale da integrare gli estremi dell’atto gestorio incompatibile con la volontà di rinunziare, e non altrimenti giustificabile se non in relazione alla qualità di erede, con la conseguenza che non possono essere ritenuti atti di accettazione tacita quelli di natura meramente conservativa che il chiamato può compiere anche prima dell’accettazione. In ogni caso, l’indagine relativa alla esistenza o meno di un comportamento qualificabile in termini di accettazione tacita, risolvendosi in un accertamento di fatto, va condotta dal giudice di merito caso per caso.
In conclusione, se non si accetta l’eredità entro dieci anni, la stessa si considera rinunciata a meno che, nel frattempo, non sia intervenuto un atto di accettazione tacita.
Anche per quest’ultima il termine è decennale.
Il termine decennale può essere ridotto con un procedimento giudiziario ad “actio interrogatoria” per il quale vi invitiamo a leggere una nostra news.

La rinunzia

La riduzione del termine può esservi anche in una ulteriore situazione, per la quale riprendiamo la sua prima domanda nella parte finale in cui chiedeva lumi sulla rinunzia.
La legge non fissa anche un termine per rinunciare all’eredità, ma esso lo si evince comunque: la rinuncia infatti può essere fatta sempre entro i dieci anni previsti per l’accettazione; infatti, se non si accetta l’eredità entro tale termine, l’erede si considera rinunciatario.

Un altro esempio

L’ulteriore caso in cui l’accettazione dell’eredità deve avvenire entro termini più stringenti è quando il “chiamato” (ossia l’erede potenziale) è nel possesso dei beni del defunto (ad es. il convivente). Questi deve fare, entro tre mesi dall’apertura della successione, l’inventario e, nei successivi quaranta giorni, deve manifestare la propria scelta tra la rinuncia all’eredità o l’accettazione con beneficio di inventario. In assenza di tale dichiarazione, o in caso di inutile decorso dei termini, il chiamato si considera erede puro e semplice.
Dunque, in tale ipotesi, si verifica l’effetto opposto rispetto a quello prima visto: difatti se è vero che alla scadenza dei dieci anni il chiamato si considera come se avesse rinunciato all’eredità, nel caso invece di soggetto nel possesso dei beni del defunto la scadenza dei termini determina l’accettazione tacita dell’eredità.

Domande e informazioni sui lasciti solidali  e donazioni in memoria

Per ulteriori informazioni sui lasciti è possibile consultare la pagina dedicata del sito di Ai.Bi., scrivere alla mail lasciti@aibi.ito chiamare il numero 02.98822332.