Covid: ecco cosa è il “free birthing”. La scelta di partorire in casa

La SIN: “La strada più corretta è sicuramente quella di demedicalizzare l’evento nascita nei nostri ospedali, favorendo setting organizzativi e strutturali attenti alla fisiologia e pronti ad intervenire in caso di urgenza”.

Partorire in casa? Una scelta che torna di moda, grazie alla pandemia. Lo riportano i dati: sia in Europa che negli Stati Uniti, in virtù delle incertezze provocate dalla pandemia, molte donne hanno scelto di partorire in casa, come si faceva una volta, senza l’ausilio di uno staff medico di supporto. Il fenomeno è definito “free birthing” e ha ricevuto un impulso con la scarsità di personale sanitario e la sospensione dei normali servizi a causa dei vari lockdown applicati dai Paesi occidentali.

Nel Regno Unito, secondo l’Officer for National Statistics, le donne che scelgono il parto libero sono circa il 2%, “ma – spiega il web magazine Universomamma.it in base ad una ricerca fatta dal King’s College di Londra, durante il primo lockdown, almeno una mamma su 20, cioè il 5%, ha valutato seriamente l’opzione di partorire in casa. (…) Nello stesso periodo anche in Italia si è verificato un maggiore interesse per la questione, così come in Spagna. Da quello che riferisce El Paìs, la paura del contagio ha triplicato le richieste di dare alla luce il nascituro nel proprio domicilio”.

Ma non è solo la paura a spingere una madre a partorire in casa. Secondo la Società Italiana di Neonatologia (SIN) tra le ragioni vi sono anche: una visione della gravidanza più olistica; il bisogno di sentirsi padrone del proprio corpo; il desiderio di partorire in un ambiente più confortevole; ragioni culturali o religiose.

Tuttavia, “per garantire che il parto a domicilio non determini rischi inutili ed inaccettabili per mamma e neonato – ha detto la SIN – è necessario che vengano rispettati alcuni fondamentali requisiti di sicurezza. Occorre la corretta identificazione dei fattori di rischio assoluto […] Il parto a domicilio deve essere parte di un sistema di assistenza alla gravidanza e al parto ben integrato con le strutture ospedaliere, come avviene ad esempio nel Regno Unito e in Olanda”.

Per la Società Italiana di Neonatologia (SIN) l’ospedale è sempre il posto più sicuro dove partorire. Anche in tempo di coronavirus, i nostri punti nascita sono più che mai protetti, con personale dedicato e percorsi separati per accettazione ostetrica, sale parto, puerperio e nido. Un parto in ambiente extraospedaliero o a domicilio può al contrario rivelarsi potenzialmente pericoloso, se non si adottano misure organizzative e criteri clinici di selezione delle gravide appropriati.

La Società Italiana di Neonatologia (SIN) sconsiglia vivamente la scelta di partorire a domicilio, poiché anche nelle condizioni ideali non è possibile escludere con certezza complicazioni per la salute di mamma e neonato. Nel caso dovesse essere necessario un trasferimento in ospedale, ad esempio, in molte realtà italiane questo potrebbe non avvenire nei giusti tempi, soprattutto in un periodo di emergenza come quello che stiamo attraversando, poiché potrebbe essere aggravato anche da una minore disponibilità di ambulanze.

Per la SIN, la strada più corretta è sicuramente quella di demedicalizzare l’evento nascita nei nostri ospedali, favorendo setting organizzativi e strutturali attenti alla fisiologia e pronti ad intervenire in caso di urgenza”.