La rivoluzione culturale che ci aspettiamo sull’ adozione internazionale: non sia vista come un vergogna

Affinché sia cancellato lo stigma della disgrazia della sterilità di una persona o della presunta povertà di un popolo occorre un grande atto di coraggio e di emancipazione nel segno dello sviluppo, possibilmente sviluppo umano integrale

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Le abbiamo guardate, sviscerate, approfondite, analizzate, discusse, immaginate, proposte, sognate…. In tanti modi… e il più delle volte abbiamo lavorato per trasmettere la meraviglia – delle adozioni. Certo senza nasconderne il lato complesso. La vita è forse semplice e piatta e si può precostituire?

Possiamo decidere di avere figli maschi o femmine o basta che siano in salute? E se non sono in salute mica li possiamo ammazzare!? Almeno così mi diceva la nonna di una mia cara amica. Rude ma rende l’idea. I tempi cambiano e spesso nel crescere pensiamo di potere dire o fare tutto ciò che vogliamo.

In questo secolo ciò che vogliamo, il più delle volte,  è risolvere tutto ciò che ci affatica, identificandolo come un problema – buttarlo via. Senza riconoscere la bellezza del viaggio. 

Vanno curati e accolti con amore tutti i doni del cielo.

Il che non vuol dire accettare ogni cosa con senso acritico. Ma vuol dire non problematizzare a monte quella che in essenza è la manifestazione dell’incontro della vita con la vita. “Un padre e un figlio con il loro abbraccio” canta Venditti.

La meraviglia, appunto. Lo stupore e con esso il timore… e perché no, a volte anche il terrore…che si può affrontare. Attraversare e annusarne anche le essenze più curative.

Certamente è importante avere certezza delle procedure adottive. Ma quando queste procedure sovrastano il senso dell’esperienza che un bambino e una coppia fanno nel loro incontro… questo significa che non si tratta più di uno sguardo sulla vita ma sul possesso e sulla dominazione della vita stessa. Siamo forse in un’era di raptus, di ὕβϱις (hybris) sociale e burocratica. In tanti, negli anni abbiamo sommessamente chiesto, o preteso, la revisione legge sulle adozioni. Poi a un certo punto ci siamo fermati. Qualche paura, qualche incertezza, qualche comunicazione aggressiva, più che qualche guerra da affrontare: le adozioni sono crollate sotto il peso della sfiducia.

Dunque più che la legge occorre ora prendersi cura dello spirito delle adozioni. 

C’è infatti un grande MA che forse abbiamo considerato troppo poco in questi anni. Un non detto che spesso aleggia come tabù ancora oggi nel 2022.

La vergogna. Lo stigma delle adozioni.

A livello personale e di coppia spesso non avere figli viene ancora considerato come una disgrazia che ti pone ai margini della società.

Scatta a un certo momento, nella maggior parte degli esseri umani il desiderio del figlio: se c’è un partner con lui/lei, se non c’è un partner da soli … purché arrivi, nostro, mio, possibilmente sano. Credo sia istinto di sopravvivenza nel segno della prosecuzione della specie. Credo spesso sia anche paura ancestrale della solitudine.

Un istinto che è forse silenzioso perché ha a che fare con le così dette pudenda che ancora oggi sono oggetto di qualche riserbo: se ne può ridere, si possono esibire… si può farne uso creativo, versatile xy, xxx, xyz, se ne può parlare in maniera giocosa, viziosa virtuosa o virtuale, ideale o ideologica… ma parlarne profondamente e sinceramente resta difficile, spesso,  anche con se stessi. Farci i conti in coppia è difficile. Farci i conti in società un obiettivo possibile.

L’adozione, nel caso di una coppia senza figli, mi sembra essere l’espressione con cui il cuore di due esseri umani accolgono i propri corpi sacri feriti, li accettano, li amano, li esprimono rendendoli un corpo, nelle loro estensioni spirituali. È nella cooperazione con l’altro che si costruiscono passo passo certezze. Nella disponibilità a lasciarsi trasformare. Affidarsi.

Nel caso di una coppia con figli l’adozione mi sembra piuttosto  una scelta di esprimere la rotondità del proprio corpo sacro, attraverso l’invito dell’Altro, del fratello, della comunità, nelle certezze del proprio giardino. Nella disponibilità a lasciarsi trasformare. Affidarsi. 

Quando il corpo diventa un tabù nelle sue relazioni con l’anima, nella community questo processo pesa  come stigma.  Il tabù socializzato, trasla e arricchisce la coscienza a livello comunitario e collettivo… il pensiero non detto,  dominante, la vergogna, si trasforma in politiche piccole,  che rischiano di essere ipocrite o perbeniste. Aiutiamo certo tutti i bambini del mondo e li accogliamo a casa nostra – che è pur sempre il salotto della grande bellezza, dell’alta sartoria e del buon cibo. In Federazione Russa l’adozione toccava il nervo scoperto dall’orgoglio di un popolo che non accettava di buon grado che i figli della propria terra venissero accolti altrove. La Russia è ricca e può bastare a se stessa. Tu chi ti credi di essere? Che vuoi? Mi disse una volta un vecchio alla porta del ristorante Vecchia Venezia a Vladimir.  Sono passati 20 anni ma non credo che le cose siano cambiate.

 l’Italia è stato sempre un paese accogliente, ma di pensare che bimbi italiani possano essere adottati all’estero, magari anche solo da italiani di seconda e terza generazione ..: non mi i pare vi sia tanto favore a ragionare su questa via. Perché?

Sulla reputazione delle adozioni anni addietro ci sono stati anche importanti studi del bureu dell’Aja.

Il tema del denaro legato a quello delle adozioni implica che vi sia una sorta di pudore nella relazione tra paesi e rappresentanze istituzionali, associative, familiari.

Ora affinché questo pudore sia superato, affinché sia cancellato lo stigma della disgrazia della sterilità di una persona o della presunta povertà di un popolo occorre un grande atto di coraggio e di emancipazione nel segno dello sviluppo, possibilmente sviluppo umano integrale.

L’emancipazione sta nel segno della enciclica fratelli tutti e nello spogliarci dal politicamente corretto.

Fratelli tutti, appunto. Tutti sullo stesso piano di dignità.  E se un paese da bambini in adozione non andrebbe trattato da povero o da impoverire – il paese stesso, piuttosto che considerarsi tale, potrebbe valorizzare il capitale relazionale nel gemellaggio che si stabilisce tra patria accogliente e patria di origine. Patria per amore di genitori – quelli che ci hanno dato la vita, quelli che ci hanno reso figli.

Proviamo a immaginare quanta ricchezza, non solo valoriale, questo nuovo approccio può generare.

Insieme alla politica credo che le agenzie governative negli anni a venire possano avere un ruolo significativo in questo passaggio culturale. Epocale.

Un ruolo di grande responsabilità in cui profilo privato e dimensione pubblica dell’essere umano camminano di pari passo.

La strada è tutta da fare.

Marzia Masiello – relazioni istituzionali Ai.Bi.